Cap 1 e' possibile una fondazione filosofica dei diritti umani
Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
DIRITTI UMANI
UN APPROCCIO NORMATIVO
PER UNA QUESTIONE DI GIUSTIZIA GLOBALE
Candidato: Spoto Biagi Relatore: Prof. Fabrizio Sciacca Correlatore: Prof. Matteo Negro
ANNO ACCADEMICO 2004-2005
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
CAPITOLO I
Il problema della fondazione filosofica dei diritti
1. Il mito della fondazione assoluta dei diritti umani
2. Alcune precisazioni linguistiche e concettuali
3. Alla ricerca di una definizione minima
4. Un punto di vista umano
5. L'approccio utilitarista
6. L'approccio dei beni primari di Rawls
7. L'approccio delle capacitazioni
8. Una definizione minima di diritti umani
CAPITOLO II
L'universalizzazione difficile. I diritti umani, di fronte al
fatto del pluralismo.
1. Il difficile cammino dell'universalizzazione dei diritti umani
2. Monismo, relativismo, pluralismo
3. L'universalismo alla prova: la sfida islamica
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
CAPITOLO III
Estensione e confini del concetto di diritti umani
1. Forme dell'ingiustizia
2. La questione dei diritti sociali
3. Diritti sociali internazionali ?
4. Il problema del multiculturalismo
5. Critiche alla tradizione politica liberale
6. Una via liberale al multiculturalismo
7. I confini del concetto di diritti umani
CAPITOLO IV
SULLA LEGITTIMITÀ DEGLI INTERVENTI UMANITARI.
2. Quali violazioni, sono veramente rilevanti
3. La guerra umanitaria. Un caso di guerra giusta?
4. I lati oscuri della guerra umanitaria
5. Una teoria dell'intervento umanitario giusto
Bibliografia
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Il tema dei diritti umani è al centro dell'agenda politica
globale almeno dal 1948, anno in cui la Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo, venne approvata
dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Era ancora fresca la memoria dell'orrore dei campi di
concentramento, di Auschwitz, della Shoah, della distruzione
morale e materiale, causata dalla seconda guerra mondiale. In
risposta all'esperienza della
disumanizzazione assoluta, la
comunità internazionale elaborò la dichiarazione del 1948, in
cui venne sancito che ogni essere umano dovesse godere di
diritti inviolabili che proteggessero la propria persona, per il
semplice fatto di essere tale,
senza distinzione alcuna, per
ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o di altro genere, di ordine nazionale o
sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione (art. 1
Dichiarazione universale).
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Un documento coevo alla dichiarazione universale, come la
legge fondamentale del 1949 della Repubblica federale
tedesca sorta dalle ceneri del regime nazista, conteneva
anch'esso, un riferimento solenne al principio della dignità
umana. Principio ripreso a distanza di più di cinquanta anni dal
Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
Europea dove si afferma che: "l'Unione si fonda sui valori
indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di
uguaglianza e di solidarietà" e dall'articolo I-2 dell'appena
nata Costituzione europea, secondo il quale: "l'Unione si fonda
sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia, dell'uguaglianza, dello stato di diritto e del
rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone
appartenenti ad una minoranza"[…] Un modo solenne di
ricordare ai popoli europei, che i valori su cui si basa il
processo di unificazione del vecchio continente, derivano dalla
memoria del
male assoluto della Shoah e dal superamento del
mito della sovranità statale non condizionata da limiti di
carattere etico.
Oggi l'ordine internazionale bipolare, vigente ai tempi
dell'approvazione della dichiarazione universale, si è
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
sgretolato. Il collasso del mondo comunista e la diffusione
massiccia del nuovo "
zeitgeist democratico"bravano le
premesse necessarie per diffondere su scala globale il
linguaggio dei diritti umani. La fine della guerra fredda, aveva
infatti posto sul tavolo, problemi politici la cui natura etica era
evidente. Questioni come i diritti umani, l'intervento
umanitario, il trattamento dei rifugiati, la sostenibilità
economico, emergevano prepotentemente come temi centrali
dell'agenda politica globale, dopo che per quasi cinquanta anni
erano stati sacrificati in nome degli interessi geopolitici delle
due superpotenze. Sembrava che per la prima volta nella storia
dell'umanità, non esistessero spaccature ideologiche
fondamentali, in altri termini nulla di insanabile (divario
economico a parte), pareva in grado di distinguere e
contrapporre i popoli della terra.
Nel mondo post-guerra fredda, riaffiorava anche la
possibilità che l'ONU, potesse ricoprire il ruolo di garante
della legalità internazionale e di guida della comunità
1 Sui processi di democratizzazione che hanno portato i regimi democratici ad essere 119 su 192 stati, con una percentuale del 62% di stati democratici sul totale, vedi D. Grassi,
La globalizzazione della democrazia:
transizioni e consolidamento democratico agli albori del ventunesimo secolo. pp. 3-29. Per un quadro generale dei più recenti processi di democratizzazione S.P. Huntington
, La terza ondata. I processi di democratizzazione alla fine del ventesimo secolo.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
mondiale, che per più di quaranta anni gli era stato negato, a
causa dei veti reciproci delle due superpotenze. La crisi
irachena del 1991, in cui l'ONU aveva assunto un ruolo
centrale, pareva confermare questa tendenza, e sembrò
possibile costruire un nuovo ordine internazionale post-
bipolare, in cui le Nazioni Unite potessero assumere il potere
di sanzionare le minacce alla sicurezza internazionale e le
violazioni dei diritti umani.
L'evoluzione successiva del sistema politico globale
smentì invece, le ipotesi ottimistiche di chi dopo il 1989
riteneva imminente e inevitabile la "fine della storia",
trionfo del modello occidentale basato sull'economia di
mercato e sulla liberal-democrazia.
Il "nuovo ordine internazionale," che il Presidente degli
Usa George Bush Sr. voleva instaurare a partire dalla prima
guerra irachena, risultò irrealizzabile senza un'opportuna
riforma di istituzioni internazionali risalenti al modello
bipolare di Yaltapiuto dal suo
successore Bill Clinton, di ricercare un maggiore
2 F.Fukuyama,
La fine della storia e l'ultimo uomo. Recentemente lo stesso Fukuyama ha ammesso sul quotidiano francese "Le Monde" che l'11 settembre 2001, è un accadimento che impone una nuova periodizzazione storica. 3 Su questo vedi V.E.Parsi,
L'impero come fato? Gli Stati Uniti e l'ordine globale, pp. 83-113.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
multilateralismo e una condivisione degli oneri del governo
mondiale fallì, e azioni come quelle che l'11 settembre 2001
hanno trascinato gli Stati Uniti e il mondo in un nuovo tipo di
guerra rappresentano il prezzo di tale fallimento
Nuovi fattori di tensione, quali l'emergere delle differenze
culturali e del conflitto tra le civiltà, rendono instabile il
terreno delle relazioni internazionali e difficile l'emergere di
prospettive etiche universalmente condivise, ma non le negano
del tutto. Anzi, di fronte all'orrore del terrorismo globale e
della guerra,
i diritti umani possono essere la base di quella che
John Rawls chiama una "società dei popoli ragionevolmente
assicurino la nuova
governance dell'era globale"
Il tema dei diritti umani, che sarà l'oggetto della nostra
discussione, rientra a pieno titolo nell'area di studi emergente,
chiamata etica delle relazioni internazionali. Sebastiano
Maffettone e Gianfranco Pellegrino, sostengono che: "l'etica
4
Ivi, p. 99. 5 J.Rawls,
Il Diritto dei popoli, p. 5. 6 Sul punto vedi: M.Telò,
Europa potenza civile, p. 13: "il concetto di
governance si distingue da quello di governo per la maggiore inclusività, cioè per la sua intenzione di comprendere, oltre alle forme istituzionalizzate e formalizzate di potere regolatore, legate agli stati e considerate in declino, soprattutto forme di autorità complesse, pluralistiche, pubbliche e private, decentrate a vari livelli, a geometria variabile, policentriche, transnazionali e sub-nazionali, informali non istituzionalizzate né gerarchizzate". Per una ricostruzione maggiormente dettagliata del concetto vedi: R. De Mucci,
Fenomenologia e critica del concetto di governance, pp. 27-41.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
delle relazioni internazionali prende le mosse dall'esistenza
effettiva di problemi di natura normativa, sia giuridici sia etici
in senso stretto, nell'arena internazionale, per vedere se è
possibile comprenderli al meglio e talvolta ipotizzare loro
soluzioni basate su principi teorici."
Si tratta, dunque, di utilizzare un approccio di tipo
normativo, in un campo, quello delle relazioni internazionali,
dominato fino a qualche decennio fa dalle teorie realiste. Il
realismo politico internazionale è una corrente di pensiero
molto antica, che affonda le sue radici in storici della Grecia
classica come Tucidide, per passare da Machiavelli ed arrivare
a teorici contemporanei come l'americano Hans J.
Morghentau, l'inglese Martin Wight, il francese Raymond
Aron. Secondo l'approccio realista alle relazioni internazionali
l'unico criterio che le nazioni usano nei loro rapporti reciproci
è l'interesse, inteso ora come interesse alla sicurezza, ora come
interesse a estendere la propria area di influenza. Questo si
verifica perché in mancanza di un organismo sovra-ordinato
capace di regolare le controversie tra i soggetti del sistema
internazionale, quest'ultimo assume una struttura anarchica
inidonea ad avere un centro di potere, in cui ogni stato può
7 S. Maffettone, Gianfranco Pellegrino,
Etica delle relazioni internazionali, p. VII.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
sopravvivere e realizzare i suoi interessi soltanto agendo come
dunque, dalla ricerca del potere, perché solo con il potere
militare lo stato sopravvive e realizza l'interesse nazionale. In
un quadro in cui i soggetti del sistema internazionali, cercano
soltanto di accrescere il proprio potere, al fine di realizzare i
propri interessi nazionali. Qualsiasi richiamo a pretese di tipo
etico con valenza universalistica, è considerato dai teorici
realisti, strumentale a ragioni di dominio e quindi da
combattere come esempio di utopia pericolosa per la stabilità
L'approccio normativo alle relazioni internazionali è il
tentativo di superare la teoria realista, basandosi sul
presupposto che esistano principi morali e sociali comuni, che
rendono possibile la composizione pacifica dei conflitti
d'interesse tra stati. Per citare ancora Rawls, il problema di
fondo dell'etica delle relazioni internazionali, è trovare "una
concezione politica del giusto e della giustizia valida per i
principi e le norme del diritto e della pratica internazionale"
8 Per un quadro esauriente delle teorie realiste e neo-realiste, vedi: F. Attinà,
il sistema politico globale, p. 27-35. 9 J. Rawls,
il diritto dei popoli, p. 3.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Il tema dei diritti umani oggetto di questo lavoro, fa dunque
parte, pur non esaurendole, di quelle che Salvatore Veca ha
definito questioni di
giustizia globale. Le questioni di giustizia
globale, come: la necessità di una redistribuzione globale della
ricchezza che riduca le diseguaglianze tra nord e sud del
mondo; la gestione dei flussi migratori; la protezione dai rischi
ambientali; la lotta contro le reti transnazionali del terrorismo
globale; sono quelle che travalicano i confini nazionali e gli
spazi locali per riferirsi a quella che Habermas ha definito la
approccio di tipo normativo, è quindi, quella posta dalla
necessità di riferirsi a criteri di giudizio e di valutazione etica
non limitati a comunità chiuse ma validi al di là dei confini
In questo lavoro la questione dei diritti umani sarà
affrontata da un punto di vista fondazionale e filosofico.
L'attenzione verrà posta sull'analisi dei problemi concettuali,
ontologici ed etico-politici, che la questione pone sul tappeto.
Un approccio di tipo normativo non è l'unico possibile, si può
analizzare la questione diritti umani anche attraverso un
10 J. Habermas,
la costellazione post-nazionale, pp. 29-102. 11 S.Veca
, La bellezza e gli oppressi, p. 46.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
approccio empirico che tenga conto delle peculiari condizioni
storiche e dei problemi di ordine pratico, connessi alla
realizzazione giuridica e politica dei diritti umani. Ma,
utilizzare un simile approccio, significherebbe allontanarsi
troppo dall'obiettivo di questo lavoro, che è quello di fornire
ragioni e criteri per il giudizio etico che giustifichino
l'adesione al linguaggio dei diritti umani. È chiaro che nel
corso della trattazione non potremo esimerci dall'utilizzare
l'approccio di tipo empirico, ma lo faremo soltanto quando
sarà funzionale alla ricostruzione filosofica della nostra
Il lavoro è suddiviso, in quattro capitoli. Il primo capitolo
si occupa del problema della fondazione filosofica dei diritti
umani. L'ipotesi che viene portata avanti, scarta la possibilità
di una fondazione filosofica assoluta, per concentrarsi su una
giustificazione dei diritti umani, come risorse a difesa della
fragilità della condizione umana.
dell'universalizzazione dei diritti umani. L'argomentazione
che viene avanzata, è che in un mondo caratterizzato da diverse
versioni e visioni di ciò che è bene, ogni cultura deve
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
esprimere la propria adesione al linguaggio dei diritti umani, in
maniera confacente ai propri valori.
Il terzo capitolo, si sofferma sull'opportunità di estendere
ai diritti sociali e ai diritti differenziati in funzione
dell'appartenenza di gruppo, la categoria di diritti dell'uomo.
L'analisi che viene portata avanti, mostra la necessità di
individuare un nucleo minimo di diritti dell'uomo, che possa
essere garantita in ogni stato, a prescindere dal livello di
sviluppo economico. Per questo motivo, pur rispondendo a
legittime richieste di libertà e di eguaglianza, i diritti sociali e i
diritti differenziati positivi, che per essere realizzati
necessitano di una prestazione da parte dei poteri pubblici e di
risorse economiche rilevanti, non possono essere considerati
diritti umani in senso proprio.
Infine, nel quarto capitolo, viene affrontato il problema di
quali misure, sia legittimo intraprendere in caso di gravi
violazioni dei diritti umani. L'ipotesi portata avanti, parte dal
presupposto, che i cosiddetti interventi umanitari sono
giustificati, soltanto se riescono a conseguire realmente,
l'obbiettivo di minimizzare il numero delle violazioni dei
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Norberto Bobbio, ha sostenuto che il problema di fondo
relativo ai diritti umani è non tanto quello di
giustificarli,
quanto quello di
proteggerli. Quello dei diritti umani, sarebbe
dunque, un problema non filosofico ma politico. Siamo
pienamente d'accordo con Bobbio, ma ci permettiamo di
integrare il suo pensiero, dicendo che, se il compito della
filosofia politica non è quello di trovare il fondamento assoluto
dei diritti umani, essa non può astenersi dal ricercare di volta in
volta buone ragioni per proteggerli.
Prima di concludere questa introduzione, vorrei ringraziare
il prof. Fabrizio Sciacca per i suoi preziosi consigli e
suggerimenti, Il prof. Matteo Negro, e infine Il dott. Lucio
Messina per la disponibilità nella realizzazione tecnica di
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Il problema della fondazione filosofica dei
diritti umani
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
1.
Il mito della fondazione assoluta dei diritti umani
giuspositivista, ha da sempre sostenuto l'impossibilità di una
fondazione filosofica assoluta dei diritti umani. In particolare,
Norberto Bobbio ha argomentato l'inconsistenza di ogni
ricerca del fondamento assoluto, sulle base di quattro difficoltà
in cui incorre ogni tentativo fondazionale.
La prima difficoltà da affrontare riguarda la stessa
possibilità di dare una definizione esaustiva del concetto di
diritti umani. La maggior parte delle definizioni secondo
Bobbio sono: o tautologiche, "diritti dell'uomo sono quelli che
spettano all'uomo in quanto uomo"
qualcosa riguardo allo status desiderato e proposto da questi
diritti, e non sul loro contenuto: "Diritti dell'uomo sono quelli
che appartengono, o dovrebbero appartenere,a tutti gli uomini,
e di cui ogni uomo non può essere spogliato".
"Infine, quando si aggiunge qualche riferimento al
contenuto, non si può fare a meno di introdurre termini di
valore, e qui nasce una nuova difficoltà dovuta al fatto che i
12 N. Bobbio,
l'età dei diritti, p. 8 13
Ibid.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
termini di valore sono interpretabili diversamente secondo
La seconda difficoltà deriva dal fatto che i diritti
dell'uomo costituiscono una "classe variabile" che va
modificandosi con l'evoluzione storica. Diritti considerati
assoluti nel Settecento come ad esempio il diritto di proprietà,
oggi sono sottoposti a limitazioni, altri diritti come quello alla
privacy, il diritto a vivere in un contesto ambientale sano o
alcuni diritti sociali che non erano presenti nei secoli passati,
sono invece tutelati dalle dichiarazioni contemporanee.
Secondo Bobbio, ciò prova che "non vi sono diritti per loro
natura fondamentali. E quello che sembra fondamentale in un
epoca storica e in una determinata civiltà, non è fondamentale
in altre epoche e in altre culture".
La terza critica che Bobbio muove alla pretesa di
fondazione assoluta riguarda la natura eterogenea dei diritti
dell'uomo. Il numero di diritti umani valido sempre e in
maniera assoluta è molto ridotto, e normalmente a seconda
delle circostanze e dei soggetti si richiede una scelta tra un
14
Ibid. 15
Ivi,p. 9-10.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
diritto e l'altro o meglio una restrizione di un diritto a
vantaggio di un altro.
Il tentativo compiuto da un pensatore come John Rawls per
limitare il più possibile il numero di conflitti tra diritti
fondamentali è stato quello di restringere la definizione dei
diritti fondamentali. Come ha evidenziato Robert Alexy,
Rawls tenta di superare la possibilità di conflitti tra diritti,
avvalendosi della distinzione ampiamente adottata dal diritto
costituzionale tra restrizione (
restriction) e regolazione
(
regulation).
dell'espressione
"regolazione,"[
Regelung], Alexy adopera l'espressione
"articolazione"[
Ausgestaltung] utilizzata dal diritto
costituzionale tedesco, è ritenuta maggiormente capace di
esprimere il concetto opposto a quello di "restrizione".
lettura di Rawls proposta da Alexy, se i diritti fondamentali
vengono soltanto articolati, essi non vengono sottoposti a
nessuna restrizione. L'esempio di cui Rawls si serve per
illustrare il concetto, riguarda la libertà di parola. Secondo
Alexy: " Rawls sembra quindi voler accettare solo una
restrizione dei diritti fondamentali, se viene leso il contenuto
16 R. Alexy,
la teoria delle libertà fondamentali di John Rawls, pp. 28-31. 17
Ivi, p. 29.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
del discorso (
content of speech). Fintantoché si tratta di tempo,
luogo e mezzo di espressione, si è in presenza di una mera
articolazione che per definizione non rappresenta nessun
quanto affermato da Rawls, Alexy propone un esempio che
mostra come l'argomentazione "rawlsiana", non riesca a
evitare i conflitti tra diritti fondamentali.
Scrive Alexy: "Supponiamo che in una comunità di media
grandezza domini un'intensa discussione su una questione
politica ed i cittadini si radunino in massa in un luogo per
prenderne parte.[…] All'amministrazione comunale ciò non
piace per diversi motivi[…] e quindi autorizza le discussioni
soltanto in un determinato giorno, in un determinato orario, in
un particolare luogo. La regolazione riguarda solo il luogo e il
tempo. Tuttavia essa rappresenta una lesione dei diritti
fondamentali di riunione ed opinione. Può darsi che molti
cittadini abbiano da fare qualcosa di diverso nell'orario e nel
giorno stabilito dall'amministrazione comunale e non nutrano
nemmeno alcuna voglia di recarsi nel luogo prescelto.
L'amministrazione potrebbe mettere a tacere una spiacevole
18
Ivi, p. 29.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
discussione mediante una regolazione apparentemente
In definitiva, conclude Alexy il tentativo compiuto da
Rawls di inserire il concetto di articolazione o di regolazione
non diminuisce essenzialmente il numero di conflitti tra diritti
fondamentalia quanto detto da Bobbio è cioè
che: " diritti assoggettabili a restrizioni, non possono avere un
fondamento assoluto, che non permetterebbe di dare una valida
giustificazione alla restrizione"
Il quarto limite che Bobbio riscontra in ogni tentativo di
fondamento assoluto, riguarda il caso in cui si rileva
un'antinomia tra diritti richiesti da uno stesso soggetto. Il caso
più emblematico riguarda il conflitto tra i tradizionali diritti di
libertà che richiedono da parte degli altri (siano essi individui
che organi pubblici), obblighi negativi che riguardano
l'astensione da certi comportamenti, e i diritti sociali che
richiedono l'esecuzione di obblighi positivi da altri, e per
questo vengono anche definiti, diritti a prestazione.
Sull'opportunità di inserire i diritti sociali tra i diritti umani,
ritorneremo più in là nel corso della trattazione, per il momento
19
Ivi, p. 30. 20
Ivi, p. 31. 21 N. Bobbio
, l'età dei diritti, p. 12.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
prendendo per buona la distinzione tradizionale, non possiamo
che concordare con Bobbio quando afferma che: " due diritti
fondamentali ma antinomici non possono avere, gli uni e gli
altri, un fondamento assoluto, un fondamento cioè che renda
un diritto e il suo opposto, entrambi, inconfutabili e
Soffermiamoci sulle critiche mosse da Bobbio al concetto
di diritti umani e cerchiamo di trarne delle indicazioni utili per
la nostra trattazione. Come abbiamo visto, la prima critica
prende di mira la possibilità stessa, di poter dare una valida
definizione del concetto di diritti umani. Nei prossimi paragrafi
cercheremo di superare questa difficoltà. Offrire una
definizione precisa e completa di un concetto così ampio ed
esteso è un operazione pressoché impossibile e comunque al di
fuori delle nostre capacità, tuttavia fornire una definizione
minima dell'oggetto della nostra trattazione, è condizione
indispensabile per capire quello di cui stiamo parlando. Le
altre critiche mosse da Bobbio, riguardano invece, la
possibilità che si possa giungere ad una fondazione filosofica
assoluta dei diritti umani. Vedremo nel corso della nostra
trattazione, che l'impossibilità di pervenire ad un fondamento
22
Ivi, p. 13.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
assoluto, sarà una giustificazione centrale per avanzare una tesi
sui diritti umani, che si preoccupi di argomentare sulla
necessità di conferire diritti a persone come noi.
2.
Alcune precisazioni linguistiche e concettuali
Prima di abbozzare una definizione dell'oggetto della
nostra trattazione, è opportuno procedere ad un lavoro di
puntualizzazione concettuale e linguistica, che permetta di
delimitare il campo della nostra indagine.
L'espressione diritti umani è generalmente utilizzata in
maniera interscambiabile con quella di diritti fondamentali.
Eppure, come osserva, Gianluigi Palombella tra le due
espressioni esistono differenze profonde: "Diritti umani" è
assoluta, riguarda l'uomo, indipendentemente da ogni contesto
e da ogni altra specificazione.
"Diritti fondamentali è invece plausibilmente aperta e
relativa, può dunque essere riferita "all'uomo" oppure ad altro:
ad ambiti, casi, circostanze, oppure società, ordinamenti
giuridici o morali; è dunque rispetto a questi che di un insieme
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
di diritti si può dire se siano fondamentali. Se dei diritti umani
si assume l'inviolabilità, assoluta, in qualsiasi stato o in
qualsiasi cultura, in qualsiasi ordinamento giuridico o
comunità morale, anche dei diritti fondamentali si potrebbe
pretendere l'inviolabilità assoluta, ma solo nell'ambito in cui
essi sono fondamentali."
Dunque i diritti fondamentali sono tali per la funzione che
essi svolgono all'interno di un ordinamento giuridico, in cui
ricoprono il ruolo di norme prioritarie e di cui rappresentano il
carattere distintivo e fondante.
Un ulteriore distinzione correlata alla precedente riguarda
l'ambito di estensione dei diritti umani.ani
interni ad un ordinamento statale o anche sovrastatale come nel
caso dell'Unione Europea. In questi casi, essi rappresentano
pretese legittime di singoli individui nei confronti dello stato o
di un'entità sovrastatale (come l'Unione Europea), tutelate da
un ordinamento giuridico che detiene "il monopolio della
23 G. Palombella,
L'autorità dei diritti. P. 12. 24 F. Sciacca
, Ingiustizia politica, p. 140 : "Mi pare quindi accettabile l'idea che i diritti umani coprano lo spazio globale, laddove i diritti umani sembrano iscriversi più in una dimensione locale, in quanto anche espressione di valori, culture, concezioni di un determinato ordinamento giuridico". Per Sciacca ciò che accomuna "diritti fondamentali e "diritti umani"è che: "in entrambi i diritti si conserva la tensione tra etica e diritto alla luce del rapporto tra morale e politica. Questa duplicità dei diritti in riferimento alle pretese morali si riferisce proprio al concetto kantiano di autonomia del soggetto morale, tanto nella sfera privata, concernente le scelte sulla concezione
personale del bene, quanto nella sfera pubblica, concernente le scelte sulla concezione
politica del bene (del diritto e della giustizia)".
Ivi, p. 144.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
coercizione fisica legittima"
le proprie leggi su un determinato territorio. All'interno della
tradizione politica occidentale simile protezione dell'individuo
e delle sue libertà inviolabili risale almeno al 1242, anno di
emanazione della
Magna Charta. Negli ordinamenti giuridici
delle liberal-democrazie, i diritti umani garantiti dallo stato ad
ogni individuo corrispondono ai diritti fondamentali,
condividendone sia il ruolo di norme prioritarie, su cui ruota il
sistema giuridico, sia l'estensione, determinata dall'ambito
territoriale su cui si estende la sovranità di un determinato
ordinamento statale.
Diversa è la teoria dei diritti umani a livello internazionale.
Il concetto seppur già presente nelle grandi trattazioni
settecentesche sulla pace perpetua e sul cosmopolitismo, ha
avuto realizzazione concreta, solo dopo la seconda guerra
mondiale a partire dalla stesura della dichiarazione universale
dei diritti umani nel 1948, parallelamente al progressivo
tramonto dell'idea di sovranità assoluta degli stati. Va detto
25 Ci riferiamo alla nota definizione di Stato data da M. Weber,
Economia e società, I, p. 53. Secondo cui: "Per stato si deve intendere un'impresa istituzionale di carattere politico nella quale l'apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione fisica legittima, in vista dell'attuazione di ordinamenti". 26 Sul punto C. Galli
, Spazi politici. L'età moderna e l'età globale pp. 131-172. Il processo di erosione della sovranità statale ha raggiunto il suo apice con il processo di globalizzazione che ha messo in crisi la spazialità relativamente chiusa ed omogenea dello stato moderno. I tre eventi scatenanti il fenomeno della Globalizzazione sarebbero
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
che anche nel secondo dopoguerra la pratica dei diritti umani
su scala internazionale non è stata universalmente accolta.
Spesso ad una pratica oggettiva dei diritti umani, gli stati
hanno preferito la logica dello schieramento partigiano al
fianco degli interessi contingenti di una delle due
superpotenze, nell'ambito di una concezione delle relazioni
internazionali in cui a prevalere erano le ragioni della
Realpolitik piuttosto che quelle della morale.
3.
Alla ricerca di una definizione minima
Fatte queste prime distinzioni, bisogna chiarire quale sia la
natura dei diritti umani. Sono diritti di natura morale o
giuridica? Oppure, come sostiene Habermas sono "diritti
giuridici con contenuto morale"?
I diritti morali possiedono tre caratteristiche fondamentali:
sono
universali, nel senso che razza, sesso, religione,
nazionalità e simili, non sono caratteristiche rilevanti ai fini del
per Galli: la
Deregulation della circolazione dei capitali, il crollo del comunismo, e il
boom dell'elettronica.
Ivi p. 131. Fenomeno economico il primo, politico il secondo e tecnologico il terzo. Ne risulta un quadro in cui "la moderna centralità dello spazio dello stato è scossa oltre che dal fenomeno migratorio, dalla "dispersione" dell'economico, non più messo in forma dalla politica".
Ivi p. 138.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
loro possesso. Sono
uguali, nel senso che se due individui
possiedono uno stesso diritto, lo hanno in ugual misura.
Sono
innati,
nel senso che non sono il prodotto di un atto
creativo di un individuo (ad esempio, un despota), o di un
gruppo (ad esempio, un'assemblea legislativa), ma
appartengono alla persona in quanto tale e non necessitano di
un atto di creazione sancito dal diritto positivo.
Per molti autori, i diritti umani sarebbero essenzialmente
diritti morali, come ad esempio sostiene Sebastiano
Maffettone: "i diritti umani sono essenzialmente diritti morali,
nel senso che possono essere giudicati requisiti etici universali
e necessari al tempo stesso come pregiuridici o meglio
metagiuridici. Ciò si vede con evidenza riguardo alla titolarità
dei diritti umani, che è attribuita di solito alla totalità degli
esseri umani indipendentemente dai requisiti legali e politici
che caratterizzano l'appartenenza ad uno stato quali la
capacità giuridica o la cittadinanza."
Secondo altri autori come il "padre" dell'utilitarismo
Jeremy Bentham, non esistono "diritti morali" ma solo "diritti
giuridici": "I diritti sono il frutto della legge e solo della legge.
27 S. Maffettone
, Etica pubblica. La moralità delle istituzioni nel terzo millennio, p. 306.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Senza legge non ci sono diritti, così come non ci sono diritti
contrari alla legge o anteriori alla legge[…] Non ci sono altri
diritti che quelli sanciti dalla legge; i diritti naturali non
esistono, così come non esistono diritti umani anteriori o
superiori a quelli creati dalle leggi".
Secondo Habermas, invece, la classica distinzione tra diritti
morali e diritti giuridici porterebbe verso una direzione
sbagliata. Per il filosofo tedesco, i diritti umani sono fin
dall'inizio di natura giuridica, e ciò che attribuisce loro
l'apparenza di diritti morali non è il loro contenuto, né la loro
struttura bensì quel senso di validità che li proietta al di là degli
ordinamenti giuridici nazionali. I diritti umani sono dunque
norme giuridiche che hanno un loro contenuto morale da cui
deriva il loro carattere di universalità, ma dal punto di vista
della struttura restano norme di diritto positivo
mentre all'interno degli ordinamenti statali costituzionali i
diritti sono immediatamente azionabili, nell'ambito della
costellazione post-nazionale in cui non esiste un potere
28 J. Bentham
, Pennomial Fragments, p. 221 29 J. Habermas
, L'inclusione dell'altro, pp. 203-204.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
esecutivo globalera di essere
istituzionalizzati.
Fatta questa breve presentazione sulle posizioni intorno alla
natura e al
fondamento dei diritti umani, saremmo tenuti a
chiarire quale delle tre posizioni preferiamo, argomentando e
adducendo le ragioni della nostra scelta. Sennonché la tesi che
vogliamo portare avanti, non si accorda con nessuna delle tre
posizioni presentate. Esaminando le critiche di Bobbio
abbiamo visto le debolezze insite in ogni tentativo
fondazionale: scopo di questo lavoro non sarà quindi spiegare
quale sia il
fondamento dei diritti umani, come in maniera
diversa tentano di fare le tre posizioni presentate, ma
argomentare perché gli esseri umani,
abbiano bisogno dei
4.
Un punto di vista umano
Un'indicazione molto interessante, ci viene da Salvatore
Veca e dalla sua idea di adottare un punto di vista umano. Si
30 Sulla necessità di una ri-regolazione della società mondiale, che si opponga alle spinte disgregatici della de-regulation liberista vedi: J. Habermas,
La costellazione post-nazionale, pp. 29-102.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
tratta di un modo guardare alla vita delle persone che
tralasciando le etichette, le gerarchie e i ruoli sociali sappia
soffermarsi sulla dignità e sull'eguale rispetto, intrinseco ad
ogni progetto di vita che non causi sofferenze ad altri.
Utilizzando la prospettiva dello sguardo umano, saremo sicuri
di rispettare il dovere kantiano di trattare l'umanità della nostra
persona come di quella altrui, sempre come un fine, e mai
semplicemente come un mezzo. In quest'ottica ogni singola
persona va tutelata dai molteplici volti che l'ingiustizia e il
male assumono, considerando come suggerisce Veca, i "diritti
come risorse per minimizzare la sofferenza socialmente
evitabile"one nella loro duplice
dimensione di
pazienti e
agenti morali.
La dimensione del
paziente morale ha a che fare con la
descrizione degli individui come semplici ricettori di
trattamenti e benefici:
i pazienti morali non hanno capacità di
agire autonomamente ma subiscono l'effetto di azioni, giuste o
sbagliate che siano. Quella dei pazienti morali è la prospettiva
utilizzata dalle teorie utilitaristiche, secondo le quali, istituzioni
e pratiche sociali possono essere considerate giuste, quando è
31 S. Veca,
la bellezza e gli oppressi, p. 72. 32 S. Veca,
Dell'incertezza. Tre meditazioni filosofiche, p. 111.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
massimizzato il saldo di soddisfazione per individui descritti
come meri ricettori di benefici. La prospettiva dei
pazienti
morali è certamente importante nell'ottica di un "utilitarismo
negativo" che si preoccupi di minimizzare la sofferenza
socialmente evitabile, ma è incompleta perché teorizza gli
individui come semplici destinatari di trattamenti e non prende
in considerazione il fatto che gli individui sono portatori di un
loro autonomo progetto di vita. Essi sono anche
agenti morali,
cioè individui che dispongono di molteplici e sofisticate
capacità, inclusa quella particolare di improntare a principi
morali imparziali la determinazione di ciò che, tutto
considerato, si deve moralmente fare, nonché la capacità, una
volta compiuta questa determinazione, di scegliere liberamente
di agire o meno, in un senso conforme alla morale o in un
Ora la dimensione dei
pazienti morali sembra avere a che
fare col concetto che Amartya Sen chiama
"funzionamento"
(
functioning), cioè quello che "una persona può desiderare, in
quanto gli da valore di fare, o di essere". Secondo Sen i
funzionamenti rilevanti per una persona sono di vario tipo e
33 Sul punto vedi: S. Veca,
la bellezza e gli oppressi, pp. 39-43; S. Veca
Dell'incertezza. Tre meditazioni filosofiche, pp. 106-109; e inoltre T. Regan,
I diritti animali, pp. 214-220.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
possono andare da cose elementari come essere adeguatamente
nutriti, o essere in buono stato di salute, ad acquisizioni più
complesse come essere felice, avere fiducia in se stessi, o
essere riconosciuti come parte attiva di una comunità.
La dimensione degli agenti morali, invece, sembra avere a
che fare con il concetto che Sen definisce
"capacitazione"
(
capability) cioè "l'insieme delle combinazioni alternative di
funzionamenti (stati di essere e fare) che una persona è in
grado di realizzare"
scegliere autonomamente tra una varietà di stili di vita
alternativi. Connettere la dimensione dei
pazienti morali a
quella degli
agenti morali significa dunque, ammettere che le
forme di esclusione e di sofferenza, riguardano non solo i
deficit di mezzi o meglio di
"funzionamenti" che un individuo
può subire, ma anche le reali opportunità di realizzare con
questi mezzi autonomi progetti di vita.
In questa prospettiva, si tengono in considerazione due
aspetti: Il primo riguarda i mezzi a disposizione di ogni essere
umano, per soddisfare i propri bisogni fondamentali, quindi la
libertà dal bisogno. Il secondo aspetto, riguarda la capacità
34 A. Sen,
La diseguaglianza. Un riesame critico, pp. 63-64. 35 A. Sen
, Lo sviluppo è libertà, p. 79.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
effettiva della persona di fare le cose che ritiene di valore,
dunque la libertà di scelta.
Senza la libertà di scelta, la libertà dal bisogno è
insufficiente, perché omette di dare importanza alla nostra
dimensione di agenti morali, cioè di soggetti capaci di prendere
scelte autonome sulla nostra esistenza. L'esempio classico, è
quello dello schiavo, che può essere libero dai bisogni di base,
ma incapace di agire autonomamente.
Allo stesso tempo, essere liberi di scegliere, senza essere
liberi dal bisogno è impossibile. Qui l'esempio è quello
dell'indigente: sulla carta, egli può essere libero di scegliere
autonomamente, ma se non riesce a soddisfare i propri bisogni
primari, rimarrà sempre un paziente morale, cioè un individuo
incapace di agire in maniera autonoma.
Se si vuole rispettare la vita umana in tutto il suo valore, si
deve dunque, dar vita ad un assetto sociale in cui siano
considerate sia la libertà dal bisogno, sia la libertà di scelta.
L'approccio delle capacitazioni (capabilities approach) di
Sen, sembra essere quello maggiormente adatto a questo
scopo. Si tratta dunque, di argomentare perché esso sia da
preferire ad altri approcci come quello utilitarista o l'approccio
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
dei beni primari di Rawls.
5.
L'approccio utilitarista
L'approccio
utilitarista si può considerare come
l'intersezione tra tre tipi di teorie: La prima, chiamata
welfarismo,
è una teoria del modo corretto di valutare le cose
che sostiene che la base esatta della valutazione è il benessere
(
welfare), cioè il fatto che la gente abbia ciò che preferisce.
La seconda chiamata
consequenzialismo,
sostiene che le
azioni debbano essere valutate in base agli stati di cose che ne
conseguono. L'utilitarismo dunque suggerisce una scelta di
azioni sulla base delle conseguenze, e una valutazioni delle
conseguenze in termini di benessere apportato. Un assetto
sociale giusto, sarà allora quello che massimizza l'utilità
collettiva di una determinata comunità politica.
Per misurare l'utilità collettiva si sommeranno le utilità
individuali secondo il metodo
dell'ordinamento-somma,
identificabile come terza componente dell'utilitarismo.
Abbiamo visto in precedenza, che per la nostra prospettiva, il
principale limite dell'approccio utilitarista, consiste nel fatto
36 Sul punto, A. Sen, B. Williams,
Utilitarismo e oltre. pp. 5-30.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
che esso non connette la dimensione del nostro essere pazienti
morali, con quella del nostro essere agenti morali. Altri tre
limiti, ci sembrano rilevanti per scartare l'approccio utilitarista:
il primo riguarda la pretesa della teoria utilitarista, di
estendere il principio di scelta valido per un solo uomo,
all'intera società, non prendendo in considerazione "la pluralità
e la diversità degli individui"
il secondo limite, riguarda il fatto che l'utilitarismo è
indifferente al modo in cui viene distribuita la felicità. Conta
solo la somma totale di soddisfazione, non il modo in cui viene
La terza critica, segue il ragionamento di Sen sull'esistenza
delle cosiddette
"preferenze adattive"
concezione utilitaristica del benessere individuale non è
particolarmente stabile, dato che può essere influenzata dal
condizionamento mentale e dalla disposizione
considerazione il fatto che i nostri desideri e la nostra capacità
di provare piacere si adattano alle circostanze, per cui spesso
chi si trova in situazione di deprivazione permanente, adegua i 37 J. Rawls,
Una teoria della giustizia. p. 41. 38 Sul punto vedi J. Elster
, Uva acerba. L'utilitarismo e la genesi dei voleri. pp. 271-295. 39 A. Sen,
Lo sviluppo è libertà. p. 67
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
propri desideri alla propria condizione esistenziale. Dunque per
Sen "è necessaria una base informativa più ampia incentrata
sulla capacità degli esseri umani di scegliere il tipo di vita che
più hanno motivo di apprezzare"
6. L'approccio dei beni primari di Rawls
L'approccio rawlsiano, tiene in considerazione i
beni
primari [
primary goods], in possesso di ogni singola persona,
quelli che Rawls chiama "mezzi per tutti gli scopi utilizzabili
per una varietà sufficientemente alta di fini ultimi"
"ciò di cui persone libere ed eguali hanno bisogno in quanto
I diritti e le libertà di base: libertà di pensiero, libertà
di coscienza e tutto il resto. Tali diritti e libertà sono
condizioni essenziali per lo sviluppo adeguato e
l'esercizio pieno e informato dei due poteri morali, il
primo dei quali consiste nell'avere il senso di
40
Ivi ,p. 68 41 J. Rawls
, Unità sociale e beni principali. p. 210. 42 J. Rawls,
Giustizia come equità. Una riformulazione, p. 68.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
giustizia, il secondo nell'avere la capacità di
concepire il bene e di avere, rivedere e perseguire
razionalmente una concezione del bene.
(ii) La libertà di movimento e la libera scelta
dell'occupazione sullo sfondo di opportunità
differenziate che permettano di perseguire un'ampia
varietà di fini e di rendere effettiva la decisione di
rivederli e modificarli.
(iii) I poteri e le prerogative delle cariche e delle posizioni
di autorità e responsabilità.
(iv) Il reddito e la ricchezza, intesi come mezzi per
qualsiasi scopo (dotato di valore di scambio),
indispensabile in generale per conseguire un'ampia
gamma di fini dei tipi più vari.
Le basi sociali del rispetto di sé, cioè gli aspetti delle
istituzioni di base indispensabili, normalmente,
perché i cittadini abbiano vivo il senso del proprio
valore come persone e possano perseguire i propri
fini avendo fiducia in se stessi.
Soffermiamoci sulla teoria dei beni primari di Rawls ed
esaminiamo il modo in cui affronta le variazioni nella relazione
43
Ivi, p. 66.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
tra i
mezzi in possesso di una persona, sotto forma di beni
primari e
l'acquisizione dei fini. La prima fonte di variazione è
quella
tra fini, in proposito Rawls è molto attento a rispettare
il "pluralismo": persone differenti possono avere "differenti
concezioni (permissibili) del bene, cioè dottrine comprensive il
cui perseguimento non è escluso dai principi della giustizia
L'altra fonte di variazione è data dalla variabilità
inter-
individuale nella relazione fra risorse (come i beni primari) e la
libertà di perseguire fini.
L'indice dei beni primari di Rawls è
insufficiente su questo punto, perché considera le persone
come fondamentalmente simili e non riconosce adeguata
importanza alle effettive diversità esistenti, nel tradurre le
risorse in libertà effettivamente goduta di scegliere la vita che
si ha motivo di apprezzare.pio,
può avere a disposizione una quota maggiore di beni primari
(sotto forma di reddito, ricchezza, libertà) rispetto ad una
persona perfettamente sana, ma minori possibilità (a causa
dell'handicap), di convertire i beni primari in capacità di base,
e quindi di sviluppare a pieno una vita degna di essere vissuta.
44 J.Rawls
, Liberalismo politico. p. 160. 45 Sul punto vedi A. Sen,
la diseguaglianza. Un riesame critico, pp. 122-125.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
7. L'approccio delle capacitazioni
La teoria di Sen è una teoria normativa di carattere
consequenzialista, differente sia dalle teorie utilitariste che da
quelle deontologiche. Differisce dall'utilitarismo, perché pur
sostenendo come questa teoria, che le azioni debbano essere
scelte sulla base degli stati di cose che ne conseguono,
(principio del consequenzialismo), rifiuta l'assunto utilitarista,
secondo il quale le conseguenze si debbano valutare, soltanto
in termini di utilità (principio del welfarismo). Differisce dalle
teorie deontologiche, perché queste, ritengono che la
valutazione delle azioni, dipenda soltanto dal rispetto di
determinati principi e doveri, considerati come meri vincoli
alle azioni altrui, mentre la teoria normativa
consequenzialistica di Sen, ritiene che per ottenere una
valutazione globale della posizione etica di un'attività, sia
necessario non solo esaminare il suo valore intrinseco (qualora
esista), ma anche focalizzare l'attenzione sulle innumerevoli
conseguenze intrinsecamente dotate di valore o disvalore che
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
questa attività può avere
La teoria di Sen adotta una concezione larga delle
conseguenze che considera "i diritti come scopi" [
goal-rights
system] e riconosce a questi diritti influenza nella scelta delle
azioni, attraverso "la valutazione dei conseguenti stati di
cose".ini, i diritti rappresentano degli scopi
morali, indipendentemente dagli interessi che hanno per
oggetto. In questo modo Sen costruisce una teoria morale
basata sui diritti, di tipo consequenzialista, in cui ciò che è
veramente importante, è che i diritti siano concretamente
realizzati. All'interno di questo quadro teorico, in cui la
valutazione delle conseguenze, viene ritenuta estremamente
rilevante, ai fini della valutazione etica, Sen costruisce
l'approccio delle capacitazioni.
Questo approccio, tiene conto: "delle caratteristiche
personali pertinenti, che governano la conversione dei beni
principali in capacità di promuovere i propri scopi".
prospettiva ad assumere un ruolo prioritario non sono come
nell'approccio rawlsiano, i mezzi per vivere bene ma "la vita
reale che la gente riesce a vivere (o, facendo un passo in più,
46 A. Sen,
Etica ed Economia, p. 94. 47 A. Sen,
Rights and Agency, p. 187. 48 A. Sen, Lo
sviluppo è libertà, p. 79
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
"la libertà di realizzare vite reali a cui si possa a ragion veduta
dare valore")entale
dell'approccio delle
capacitazioni è dunque, quello di costituire un indice di
valutazione di ciò che per noi ha valore, sensibile alle
differenze in base alle quali, gli esseri umani giudicano una
vita degna di essere vissuta. Le differenze che assumono
rilevanza sono per Sen di varia natura e comprendono:
L'eterogeneità delle persone. "gli esseri umani hanno
caratteristiche fisiche molto diverse, legate a sesso, età,
invalidità e malattie e queste differenze diversificano anche le
loro necessità[…]"
Le diversità ambientali. " le variazioni delle condizioni
ambientali, per esempio del clima, possono influire sulla
qualità della vita che una persona raggiunge con un livello di
reddito dato"[…]
Le variazioni del clima sociale. "Sulla conversione di
redditi e risorse personali in qualità della vita agiscono anche
le condizioni sociali, compresi il sistema scolastico pubblico e
la diffusione o assenza del crimine e della violenza in una certa
49
ivi, p. 77 50
ivi, p. 74 51
ivi, p. 75
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Le differenze relative. "I requisiti imposti dai modelli di
comportamento esistenti nella fruizione delle merci possono
variare da una comunità all'altra a seconda delle convenzioni e
dei costumi"[…]
La distribuzione intrafamiliare. " I redditi guadagnati da
uno o più membri sono condivisi da tutti i familiari, che
guadagnino o no; dunque la famiglia è l'unità di base di
un'analisi dei redditi che tenga conto soprattutto del loro uso. Il
benessere e la libertà dei suoi membri dipenderanno dal modo
in cui viene usato il reddito familiare per promuovere gli
interessi e gli obiettivi di ciascuno"[…]
Ho riportato la lista dei fattori che Sen individua come
influenti, nel trasformare le risorse disponibili in effettive
condizioni di vita. Per rendere conto dell'estrema sensibilità
con cui l'approccio delle capacitazioni riesce a descrivere le
cause di esclusione e di sofferenza, prendendo in
considerazione sia il nostro essere creature senzienti in grado
di provare dolore e piacere (il nostro essere
pazienti morali),
sia la dimensione della nostra esistenza che ci vede come
52
ibid. 53
ibid. 54
ibid.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
soggetti relazionalibiscono a veder riconosciuta la
propria identità e dignità dal resto della comunità degli agenti,
individui che non si accontentano di vivere una vita priva di
sofferenza e di dolore, ma puntano ad avere la possibilità di
realizzare progetti di vita, quali che siano, in quanto soggetti
con una propria storia (il nostro essere
agenti morali).
Guardare alla vita reale dell'individuo, al suo essere un
soggetto relazionale dotato di autonomia, e non solo un mero
ricettore di trattamenti, significa anche superare le critiche dei
teorici del comunitarismo, che ritengono l'individuo descritto
dalle teorie liberali, come un soggetto radicalmente
disincarnato da quei valori che lo relazionano alla sua identità
e alla sua storia.
Secondo i comunitaristi, le teorie liberali hanno
sistematicamente ignorato la dimensione dell'appartenenza ad
una comunità, che caratterizza l'identità di ognuno di noi e ci
permette di avere un'identità stabile attraverso la quale ci
riconosciamo come individui. L'approccio delle capacitazioni
sembra il più adatto a costruire un universalismo delle
55 sul punto vedi: V. Maimone,
La società incerta. Liberalismo individui e istituzioni nell'era del pluralismo, p. 54: "La possibilità di trovare una collocazione, di
orientarsi entro lo spazio politico e morale, è strettamente correlata all'opportunità di essere
riconosciuti (da altri
significativi) all'interno di questo spazio". 56 Sul punto vedi: A. MacIntyre
, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale. pp. 294-304. M. Sandel,
Liberalismo e limiti della giustizia pp. 148-190.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
differenze, in grado di superare sia i limiti della tradizionale
concezione liberale dell'individuo, come soggetto astratto
avulso dal contesto sociale in cui vive, sia i limiti della
concezione communitarista, secondo la quale la nostra identità
individuale sarebbe determinata dalla
scoperta di far parte di
una comunità con dei valori e dei costumi ben precisi, da cui
non ci si può sottrarre. Questo, perché da un lato, il paradigma
delle capacitazioni, tiene conto delle differenze, delle
singolarità, delle diversità che caratterizzano ognuno di noi,
dall'altro, perché esso ritiene che la nostra identità non sia una
scoperta irreversibile derivante dalla nostra appartenenza ad
una precisa comunità, ma una
scelta mai definitiva, mai
irreversibile, formulata da un soggetto capace di scegliere
autonomamente la propria identità
8. Una definizione minima dei diritti umani
Cerchiamo ora di chiarire, quale rapporto vi sia tra la
nozione di diritti umani tradizionalmente utilizzata nella
57 Sulla distinzione tra scoperta e scelta dell'identità vedi: A. Sen,
La ricchezza della ragione. pp. 14-17.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
letteratura politica occidentale, e l'approccio delle
capacitazioni di Sen. Avanziamo l'ipotesi che quando ci
troviamo di fronte a qualsiasi lista di diritti umani a partire
dalla dichiarazione universale del 1948 fino alle più recenti, il
modo migliore di pensare cosa significhi garantirli a ciascun
individuo, sia considerarli in termini di "capacità di conseguire
funzionamenti di valore". In altre parole, assicurare diritti a
ciascun individuo, significa renderlo capace di esercitarli.
Giustifichiamo la nostra ipotesi, partendo dalla duplice
dimensione di paziente ed agente morale che accomuna ogni
essere umano e sosteniamo, come abbiamo già visto in
precedenza, che
"l'approccio delle capacitazioni" è efficace
sia nel minimizzare la sofferenza socialmente evitabile
(dimensione del
paziente morale), perché prende in
considerazione i deficit nei
"funzionamenti", sia nel garantire a
ciascuno di scegliere la vita che si desidera vivere (dimensione
dell'
agente morale), perché prende in considerazione la
capacità effettiva della persona di fare le cose che ritiene di
Possiamo dunque avanzare una nostra definizione minima
di
diritti umani:
come capacità umane, da garantire a tutti gli
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
individui senza nessuna distinzione, al fine di tutelare ogni
persona dalle cause di sofferenza e di privazione socialmente
evitabili, che possono derivare sia da trattamenti ingiusti e
disumanizzanti che ci impediscono di godere dei funzionamenti
di base (dimensione del paziente morale), sia dalle circostanze
che impediscono ad ognuno di noi di scegliere una vita che
consideriamo degna di essere vissuta (dimensione dell'agente
Il concetto fondamentale della nostra definizione è quello
di
capacità umane. bisogna dunque chiedersi, se sia meglio
adoperare questo concetto solo come parametro di riferimento,
per i nostri esercizi di valutazione etica sulla qualità della vita,
oppure se sia auspicabile stilare un elenco delle
capacità
umane fondamentali da attribuire ad ogni individuo, come ha
tentato di fare la filosofa americana Martha Nussbaum.
Nussbaum, ha introdotto la lista delle
capacità umane
fondamentali, al fine di fornire "una base di principi politici
fondamentali che dovrebbero sostenere le garanzie
costituzionali",portanza centrale
58 M. Nussbaum,
Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, pp. 90-105 59
Ivi, p. 90.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
per ogni vita umana".
capacità umane
fondamentali,
vi è un duplice riferimento: da Aristotele, la
Nussbaum riprende l'idea che alcune funzioni siano essenziali
per la vita umana, da Marx, riprende il principio in base al
quale, vi è un modo di assolvere a queste funzioni che è
realmente umano e non meramente animale.
in cui ogni individuo, è messo nelle condizioni di vivere in
modo veramente umano, sarà considerata giusta. Per definire
quale sia una vita degna di essere vissuta, la Nussbaum si
avvale dell'idea di
soglia, che serve sia a sostenere che, al di
sotto di un certo livello di capacità, in ogni area, una persona
vive in condizioni così disumane da non essere in grado di
vivere degnamente, sia a definire il livello superiore di una
vita, che pur essendo umana, non è tuttavia una "buona" vita.
La lista delle
capacità funzionali umane fondamentali prevede
consenso multiculturale, nel senso che le persone possono
condividerla come concezione politica della giustizia
60 M. Nussbaum,
Giustizia sociale e dignità umana, p. 74. 61 M. Nussbaum,
Diventare persone, pp. 92-93. 62 M. Nussbaum,
Ivi, p. 97-99. L'autrice indica quali capacità umane fondamentali: vita; salute fisica; integrità fisica; sensi immaginazione e pensiero; sentimenti; ragion pratica; appartenenza; altre specie (non-umane); gioco; controllo del proprio ambiente. 63 Qui il riferimento della Nussbaum è J. Rawls,
Liberalismo politico, p. 132: " La concezione politica è un modulo, una parte costitutiva essenziale che può adattarsi, in
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
dover aderire ad un'unica dottrina comprensiva del bene.
Il contributo della Nussbaum costituisce, un importante
tentativo di costruire un elenco, che garantisca ad ogni
individuo un minimo sociale di base, per condurre una vita
dignitosa. In questo senso si accorda con la nostra idea, di
tenere sempre in considerazione, la duplice dimensione di
agente e paziente morale di ogni persona umana. Tuttavia
come tutti gli elenchi anche quello della Nussbaum è
limitativo. Per quanto esso possa essere lungo, rischia sempre
di escludere capacità potenzialmente fondamentali e
soprattutto corre il pericolo, di essere ingessato rispetto al
mutamento storico. Certo la lista delle
capacità umane
fondamentali, non pretende di essere una teoria della giustizia
completa, ma solo "la base per determinare un minimo sociale
accettabile in varie aree."
della lista della Nussbaum, ci sembra più proficuo elaborare
un
metodo,
mpre possibile definire
gli standard minimi di una vita degna di essere vissuta,
piuttosto che una lista, sempre a rischio di essere parziale.
maniere diverse, a varie dottrine comprensive ragionevoli che hanno un'esistenza duratura nella società da essa regolata e che possono, ciascuno a suo modo, sostenerla. 64 M. Nussbaum,
Diventare persone, p. 94. 65 Sul punto, è utile la lettura di: P. Tincani,
Chi sono le parti? Per una posizione pre-originaria, p. 73
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Insomma considerare il concetto di
capacità umane,
come
criterio di riferimento per la valutazione etica sulla qualità
della vita, sembra essere la strada più efficace, per minimizzare
la sofferenza socialmente evitabile, che colpisce la nostra
duplice dimensione di
agenti e pazienti morali.
Capitolo II
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
L'universalizzazione difficile. I diritti umani,
di fronte al fatto del pluralismo.
1.
Il difficile cammino dell'universalizzazione dei diritti umani
Il cosiddetto "linguaggio" dei diritti umani, ha una genesi
e un origine ben precisa, da collocare all'interno della cultura
occidentale. Dalla
Magna charta del 1242, alla
Dèclarations
des droits de l'homme et du citoyen, votata dall'Assemblea
nazionale francese nel 1789, fino alle convenzioni sui diritti
umani emanate nell'ultimo cinquantennio,
occidentale ha proclamato l'esistenza di diritti inalienabili, a
difesa dei requisiti fondamentali della persona umana, da
66 Oltre alla
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, di cui abbiamo parlato in precedenza, che non è uno strumento giuridico in senso stretto, non essendo stata approvata sotto forma di trattato, ma che costituisce lo stesso, un punto di riferimento per le convenzioni in materia di diritti umani, ricordiamo : il
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976, e il
Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, anch'esso adottato nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976. Le garanzie a protezione dei due patti sono diverse. Il Patto sui diritti civili e politici prevede il funzionamento di un Comitato per i diritti dell'uomo, con due funzioni: 1) Prende in esame i rapporti periodici presentati dagli stati contraenti sulle prese per dare attuazione al patto. 2) Può prendere in esame reclami presentati contro uno stato contraente da altri stati o individui, se lo stato accusato ha, dichiarato di accettare la competenza del Comitato in materia (art. 41) oppure per i reclami individuali, ratificato un Protocollo opzionale
ad hoc. Le garanzie al patto sui diritti economici, sociali e culturali, prevedono invece, per gli stati contraenti, soltanto l'obbligo di stilare rapporti periodici (sulle misure prese in osservanza del Patto medesimo) al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite. Sul punto vedi: B. Conforti,
Diritto Internazionale. pp. 177-178.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
assegnare
universalmente a tutti gli esseri umani, a prescindere
dalle differenze culturali e valoriali di cui sono portatrici
tradizioni diverse da quella occidentale.
Questa aspirazione universalistica, ha provocato reazioni di
vario genere nelle altre culture: in alcuni contesti culturali è
stata rapidamente approvata, in altri sta scontando un percorso
di lenta assimilazione ed è in via di accettazione, in altri ancora
è stata respinta e considerata, come una seria minaccia alla
conservazione della specificità della propria tradizione
culturale, o ancora peggio come strumento politico di dominio,
a disposizione del mondo occidentale.
In questo capitolo, ci impegneremo a discutere le sfide
poste dal tentativo di universalizzare i diritti umani, cercando
di portare avanti un argomento a favore
dell'universalizzazione. La nostra tesi assume il fatto del
"pluralismo" come contesto di sfondo, a partire dal quale
tentare di dare una risposta alle obiezioni anti-universalistiche,
provenienti sia dall'interno dello stesso occidente, sia da
67 Questa è la visione dei movimenti fondamentalisti islamici, che vedono nei diritti umani uno degli strumenti con cui il "grande Satana" occidentale vuole corrompere il mondo islamico, sulla percezione dell'occidente come "malattia dell'Islam" vedi: R. Guolo
, L'Islam è compatibile con la democrazia? pp. 95-100. Da un punto di vista occidentale vedi invece l'analisi di : A. Negri, M. Hardt,
Impero, il nuovo ordine della globalizzazione pp. 48-52, che vedono i diritti umani come strumenti di legittimazione dell'impero globale.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
tradizioni diverse come quella dell'estremo oriente, o quella
2.
Monismo, relativismo, pluralismo
I rapporti tra tradizioni culturali diverse, possono essere
impostati partendo da diverse angolature. In questo paragrafo,
il nostro obiettivo è di esaminare quali sono le prospettive
utilizzabili nei rapporti inter-culturali, cercando di trovare
quella più idonea a giustificare la nostra tesi a favore
dell'universalizzazione dei diritti umani. Distinguiamo dunque
fra tre prospettive: quella del
monismo, quella del
relativismo,
e quella del
pluralismo.
La prospettiva del
monismo sostiene l'esistenza di un'unica
concezione di ciò che è bene, di un unico fine supremo,
raggiunto il quale si ottiene la realizzazione di tutte le facoltà
pienamente umane. I presupposti di una visione monista sono
il principio
dell'inerranza della concezione del bene
unicamente autentica, cioè la convinzione secondo cui
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
nell'etica come nelle scienze, tutte le domande autentiche
debbano avere una e una sola risposta vera, tutte le altre
essendo necessariamente errate.
Il principio
dell'inevitabilità della scoperta, cioè
la
certezza, che debba esserci una via attendibile e sicura, per
pervenire alla scoperta dell'unica concezione del bene
veramente valida.
Il principio della
compatibilità delle verità, cioè la
sicurezza che una volta trovate le vere risposte, esse siano
inevitabilmente compatibili tra loro e formino un unico
insieme coerente, sulla base del presupposto che una verità non
possa essere inconciliabile con un'altra.
Naturalmente, una volta che si è arrivati a scoprire qual è
l'autentica concezione del bene, la visione monista non
riconosce la dignità e la legittimità di concezioni del bene
diverse dalla propria, cosicché i valori degli altri sono
considerati come disvalori o antivalori, non solo diversi, ma
anche
sbagliati. La presenza di valori differenti dai propri,
viene percepita come una minaccia, che da vita ad una sorta di
"sindrome da nemico",e
68 Sulla figura del "Nemico" si veda: C. Schmitt,
Le categorie del politico, p. 109 : "Egli è semplicemente l'altro, lo straniero (
der fremde) e basta alla sua essenza che egli
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
colui che manovra per strappare le radici dell'identità del
gruppo, e per impedire il raggiungimento del benessere e della
felicità, che il conseguimento del fine supremo dovrebbe
All'interno di una società
monistica,
la concezione del
bene dominante, diventa l'unico fine legittimamente
perseguibile, tutto il resto non ha più valore e assume rilevanza
soltanto come mezzo per raggiungere il fine ultimo. La stessa
vita umana, cessa di essere quel fine in sé, prescritto dall'etica
kantiana, per divenire un mezzo sempre sacrificabile. Del resto
come ha scritto Isaiah Berlin : "quale prezzo sarebbe troppo
alto di fronte al traguardo di creare un'umanità giusta, felice,
creativa, armoniosa per sempre,"ento del
bene supremo garantirebbe ?
Le guerre di religione, che insanguinarono l'Europa a
seguito delle Riforma Protestante e delle scissioni in seno alla
Respublica Christiana, le vittime provocate dal totalitarismo
sia essenzialmente, in un senso particolarmente intensivo, qualcosa d'altro o di straniero, per modo che, nel caso estremo, siano possibili con lui conflitti che non possano venir decisi né attraverso un sistema di norme prestabilite né mediante l'intervento di un terzo "disimpegnato" e perciò imparziale." La figura del nemico è una presenza costante anche nell'ideologia dei movimenti fondamentalisti. Sul punto si veda: E. Pace, R. Guolo
, I fondamentalisti, p. 8 : "I movimenti fondamentalisti spesso interpretano un bisogno sociale emergente: quello di non perdere le proprie radici, di non smarrire l'identità collettiva minacciate da una società sempre più individualista[…] Nel fondamentalismo si tende ad imputare la responsabilità di questa deriva ad un soggetto preciso (il nemico), che a seconda dei casi assume volti diversi". 69 I. Berlin
, Sulla ricerca dell'ideale umano, p. 14.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
nazista e da quello comunista, quelle causate oggi dal
fondamentalismo religioso, sono tutti esempi delle
conseguenze prodotte, da concezioni in cui la vita umana è
stata degradata da fine a mezzo. La storia dell'umanità ci mette
dunque in guardia, nei confronti dei danni provocati dalle
concezioni monistiche del bene, suggerendoci che il
monismo,
non si accorda con la nostra tesi sull'universalizzazione dei
La seconda prospettiva è quella relativista: Il
relativismo
sostiene l'esistenza di una pluralità di costellazioni di valori,
ognuna delle quali appare di per sé legittima. Ciò rende
impossibile integrarle tutte entro un sistema coerente, rendendo
inattuabile ogni tentativo di scelta. Di fronte all'impossibilità
di scegliere, non si può pretendere dall'essere umano di
conformarsi ai veri valori (visto che questi ultimi non
esistono), ma solamente di mantenersi il più possibile coerente
al sistema di valori che egli ha arbitrariamente scelto. Max
Weber ha riassunto così il problema: "chi sta nel mondo, non
può avvertire in sé, nient'altro che la lotta tra diverse serie di
valori, ognuna delle quali di per sé vincolante per il dovere.
Egli deve scegliere quale di questi dei vuole servire, se l'uno
70 Sul punto vedi : M. Weber
, Il metodo delle scienze storico-sociali, pp. 329-332.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
oppure l'altro" .
relativista, non esistono
valori oggettivi che hanno validità incondizionata, ma soltanto
valori selezionati in base alle preferenze soggettive di ciascun
individuo, alle scelte che egli compie volta per volta,
situazione per situazione.
Lo stesso discorso, vale per i confronti tra culture: ogni
cultura possiede uno specifico e incommensurabile sistema di
valori, che rende impraticabile l'utilizzo di un criterio esterno
ed oggettivo, per scegliere quelli migliori. La conseguenza, è
che tutti i punti di vista culturali sono egualmente validi e
nessuno di questi, può essere giudicato se non secondo i suoi
parametri. I teorici del relativismo, sostengono dunque, che ciò
che è giusto e valido per l'occidente, non è detto che lo sia
anche per le altre culture. Insomma valori come il rispetto dei
diritti umani, la tolleranza, la democrazia, sarebbero validi per
l'occidente perché connaturati a quella tradizione culturale,
ma risulterebbero sostanzialmente estranei, in tradizioni che
hanno valori di riferimento diversi. Una tesi simile è stata
ripresa da Samuel Huntington, nel suo ormai celebre libro
lo
scontro delle civiltà. Secondo Huntington, il mondo post-
comunista dovrebbe essere concepito come articolato in un
71
Ivi, p. 332.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
insieme fisso di "civiltà", i cui membri condividono un sistema
definito di valori in cui si identificano e che permette di
distinguerli chiaramente, dalle altre civiltà
seguirebbe la propria via allo sviluppo, ragion per cui e non si
potrebbe esprimere nessun giudizio, su quale tra esse abbia il
sistema di valori migliori. Ciò, perché possiamo percepire le
differenze tra due culture ma non disponiamo, di criteri idonei
a stabilire una gerarchia convincente, in base a cui valutare le
differenze. È evidente, che descrivendo le "civiltà" come
blocchi monolitici incapaci di comunicare tra loro, la profezia
di Huntington sullo
scontro tra civiltà, rischia di diventare la
classica profezia che si autoavvera.
Amartya Sen si è più volte opposto a queste
millenario dell'Occidente, in realtà siano soltanto delle
componenti del pensiero complessivo dei classici occidentali.
Per fare un esempio, consideriamo l'idea che garantire a tutti la
libertà personale sia importante per costruire una buona
società. In questa tesi si possono distinguere due componenti
72 Secondo Huntington: "Le civiltà rappresentano il più ampio noi di cui ci sentiamo culturalmente parte integrante, in contrapposizione a tutti gli altri loro". S. Huntington,
Lo scontro delle civiltà, p. 48. 73 Possiamo citare senza pretesa di completezza: A. Sen
, lo sviluppo è libertà, pp. 232-248,
Globalizzazione e libertà, pp. 69-78,
La ricchezza della ragione, pp. 3-29,
Le radici della democrazia, pp. 28-35.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
separate, e cioè
il valore della libertà personale ( la libertà è un
valore importante in una buona società ) e
l'eguaglianza della
libertà (è necessario garantire la libertà a tutti). Mettendo
assieme le due componenti, si assume che la libertà personale è
un valore importante che deve essere garantito a tutti.
Ora per Sen, un classico del pensiero occidentale come
Aristotele, ha difeso a lungo la prima componente, ma
escludendo donne e schiavi dalla fruizione della libertà, non ha
certo sostenuto la seconda componente. Quindi sostiene Sen :
"in verità questa forma di difesa dell'uguaglianza ha un'origine
molto recente"e retaggio
esclusivo della cultura occidentale, ma come il prodotto di un
processo di evoluzione culturale lento e graduale.
Se si va a fare un'analisi storica seria si scopre inoltre, che
certi valori come l'ordine e la disciplina, considerati
fondamentali nell'etica confuciana,
tipicamente occidentali come l'individualismo e il rispetto
della libertà personale, sono presenti anche in classici
occidentali come S. Agostino o Platone. All'inverso valori
come la tolleranza, la libertà, l'eguaglianza, considerati
74 A. Sen
, lo sviluppo è libertà, p. 234. 75 Sen si occupa anche di dimostrare, come il pensiero di Confucio sia stato spesso manipolato.
Ivi, pp. 235-236.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
esclusivamente occidentali, sono presenti anche in altre
culture, come dimostra il pensiero dell'imperatore Ashoka,
che nel terzo secolo a.C. fu a capo di un regno vastissimo in
India e fu un convinto sostenitore dei valori della tolleranza
religiosa e della libertà estesa a tutti gli uomini.
come l'imperatore Moghul, Akbar a guida di un grande regno
di fede islamica tra il 1556 e il 1605 che riconosceva ai suoi
sudditi, diritti come la libertà di culto e di pratica religiosa.
Sempre all'interno della tradizione islamica, Sen ricorda il caso
di Maimonide, il grande studioso ebreo del dodicesimo secolo,
che dovette scappare dalle persecuzioni religiose di un Europa
intollerante e dogmaticamente settaria, per trovare rifugio nella
civile e tollerante città musulmana di Il Cairo sotto la
protezione del sultano Saladino.o esempio è
particolarmente importante perché dimostra due cose: la prima
è che non è vero che la tolleranza e il rispetto per le diversità,
siano valori esclusivamente europei, la seconda è che è falso
vedere le tradizioni culturali come monoliti immobili, destinate
a rimanere sempre uguali. Esistono sempre le opportunità di
ragionamento e i margini di scelta verso condizioni migliori,
76
Ivi, pp. 236-237. 77 A. Sen,
la ricchezza della ragione, p. 23.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
come il caso europeo, con tutti i suoi limiti, sta a dimostrare.
Un ulteriore limite, all'adozione di una prospettiva di tipo
relativista nei rapporti inter-culturali, è che essa, nella migliore
delle ipotesi, potrebbe condurre all'adozione di un
modus
stabile, e funzionale agli interessi delle parti contraenti. Tale
accordo, troverebbe le sue ragioni, nel riconoscimento che non
esistono valori assoluti e quindi i valori altrui sono buoni come
i propri. Sulla base di questo presupposto, Huntington, ha
teorizzato che l'unico modo per mantenere un ordine mondiale
pacifico, sarebbe quello in cui civiltà relativamente omogenee,
diventano insieme i garanti dell'ordine internazionale,
aiutandosi a conservare la purezza delle rispettive civiltà.
Tuttavia, un
modus vivendi, come ha chiarito nei suoi scritti
John Rawls, non è un accordo stabile nella durata. In esso,
ognuna delle parti non condivide nessun nucleo minimo di
valori, che possa dar vita ad un accordo stabile nella durata e
quindi, "sarà pronta, in generale, a perseguire i propri interessi
a spese dell'altra, se le condizioni (e i rapporti di forza)
78 Sul significato dell'espressione
modus vivendi, vedi: J. Rawls,
Liberalismo politico, p. 133. 79 S. Huntington,
Lo scontro delle civiltà, p. 321.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
cambianountington, non soltanto, si
basa sull'errato presupposto di concepire le civiltà come
blocchi monolitici, ma in ultima analisi non riesce a garantire
neanche la stabilità del sistema internazionale.
A questo punto bisogna chiedersi: è proprio vero che non
esistano ragioni, che giustifichino l'adozione di taluni principi
etici rispetto ad altri? Dobbiamo per forza, rassegnarci alla tesi
secondo la quale i valori sono incommensurabili?
Il sociologo francese Raymond Boudon si è occupato di
questi temi, cercando una soluzione al problema del
il sociologo francese si ritrova sia nelle teorie morali che in
quelle scientifiche. Scrive Boudon: "ogni proposizione
scientifica scaturisce da una teoria e ogni teoria è fondata su
principi. Ora, di tre cose l'una, o si deducono questi principi da
altri principi che bisogna allora dimostrare e ci si impegna così
in una regressione all'infinito; o ci si ferma a dei principi che si
considerano intuitivamente e assolutamente veri; o ancora si
generano in maniera circolare i principi in questione dalle loro
80
ibid. 81 R. Boudon,
Pluralità culturale e relativismo. pp. 49-74.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
conseguenze"che è stato chiamato
"trilemma di Munchausen", in ricordo del leggendario barone
che riuscì ad uscir fuori dallo stagno in cui era caduto,
tirandosi per i capelli, è nella terza proposizione.
In campo scientifico la conoscenza è dunque circolare, nel
senso che sono le conseguenze a suffragare o a smentire i
principi, e sono i principi che permettono di fondare le
conseguenze. Lo stesso procedimento valido per le teorie
scientifiche è estendibile anche alle teorie morali. Anche qui
dunque, vale il principio per cui: "una proposizione o una
teoria sono oggettivamente valide dal momento in cui, essendo
la conseguenza di una catena argomentativi solida, si
impongono potenzialmente a tutti."
Insomma come dimostra Boudon, valori e pratiche come
quella della democrazia o il principio della separazione dei
poteri, si sono imposti perché hanno dimostrato di avere solide
ragioni argomentative ed hanno prodotto quello che Max
Weber chiama un processo di
razionalizzazione, cioè di
affermazione e generalizzazione di un modello di vita più
razionale. Tuttavia dimostrare che un principio o una pratica
82
Ivi, p. 62 83
Ivi, p. 64.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
abbiano una propria dimensione razionale, può essere utile a
sgombrare il campo dalle teorie relativistiche di tipo
irrazionalista, ma non serve a indicarci quale debba essere la
soluzione in caso di conflitto tra valori, a meno di non cadere
nell'errore del
monismo e pensare all'esistenza di un fine
supremo in grado di armonizzare i valori in un unico sistema.
Dal momento che abbiamo già bocciato l'ipotesi di assumere
una prospettiva monista, dovremo ricercare nella prospettiva
non ancora esaminata del pluralismo, una soluzione
ragionevole al problema del conflitto tra valori e adeguare ad
essa, la nostra tesi sull'universalizzazione. Nel lessico politico
comune, il concetto di pluralismo
è spesso confuso con quello
di relativismo
. In realtà tra i due concetti
esistono differenze
ben precise, che cercheremo di approfondire. Il fine della
nostra analisi sarà quello di dimostrare, che assumere una
prospettiva di tipo pluralista è essenziale, per supportare la
nostra tesi sull'universalizzazione dei diritti umani.
Abbiamo visto in precedenza come nella prospettiva
relativista, il concetto oggettivo di valore non esista, ma sia
piuttosto, il frutto delle preferenze soggettive di ogni singolo
individuo o nel caso che qui ci interessa, di un singolo popolo.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Giudicare una cultura a partire da parametri oggettivi, sarebbe
dunque inutile, perché le persone vedrebbero le cose, solo dal
punto di vista della propria cultura.
Il pluralismo sostiene invece, la presenza di una pluralità di
valori oggettivi diversi l'uno dall'altro, ognuno con un proprio
significato e con una propria legittimità. Quindi come precisa
Isaiah Berlin : "Il pluralismo è una concezione per la quale
sono molti e differenti i fini ai quali gli uomini possono
aspirare, e tuttavia gli uomini restano pienamente razionali,
pienamente umani, capaci di comprendersi e solidarizzare tra
loro, di attingere luce l'uno dall'altro".
pluralista di Berlin si distingue dunque da quella relativista,
perché, mentre il relativismo divide l'esperienza morale in
compartimenti stagni, in punti di vista separati e non
comunicanti, il pluralismo berliniano, implica l'esistenza di un
orizzonte morale significativo, condiviso da tutti gli esseri
umani. In una visione pluralista, possiamo considerare i valori
degli altri criticabili, condannabili o al contrario condivisibili,
ma non possiamo mai ritenerli come incomprensibili o
semplicemente soggettivi, perché possiamo sempre
immaginare, adottando uno sguardo empatico, cosa significhi
84 I. Berlin,
sulla ricerca dell'ideale, p. 11.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
vivere una vita con valori diversi dai nostri.
La presenza di una pluralità di valori autentici, in conflitto
reciproco tra loro, rende impossibile trovare uno schema
incontestabile, capace di armonizzarli in unico sistema, a meno
di non cadere nell'errore del monismo ed abolire con la forza i
valori diversi da quello dominante. "Non esiste mondo sociale
senza perdite di valore", è questa la massima a fondamento
della prospettiva pluralista. Si prenda come esempio di ciò, la
difficoltà nel conciliare due valori fondamentali come la libertà
e l'eguaglianza. In una società sono ambedue valori primari,
ma come sostiene Berlin : "La libertà totale per i lupi significa
libertà, senza i limiti posti dal principio di eguaglianza, può
portare ad una società in cui i forti e i potenti, dominano sui i
più deboli ed indifesi. Al contrario garantire in una società il
massimo di eguaglianza, può rendere impossibile lo stesso
esercizio della libertà personale. Come ha dunque evidenziato
Berlin, la pretesa di poter vivere in un sistema perfetto, in cui
tutti i valori coesistano è un opzione improponibile ed erronea
dal punto di vista concettuale. Non tutti i beni supremi,
possono coesistere, e ciò ci impone di effettuare una scelta tra
85
Ivi, p. 14.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
valori contrapposti.
A questo punto, s'impongono alcune domande, a cui è
molto difficile fornire una risposta adeguata: Come scegliere
tra valori diversi? Quali valori devono essere sacrificati e per
quale motivo? Il concetto di diritti come
capacità umane, che
abbiamo precedentemente proposto, è in grado di fornire un
criterio universale, capace di superare il test del pluralismo dei
Andiamo con ordine è cerchiamo innanzitutto di rispondere
alle prime due domande. Berlin ha sostenuto nei suoi scritti
l'inevitabilità del conflitto tra valori,
contempo, la possibilità di attenuare tale tensione. In che
modo? Qui Berlin rimane sul vago e suggerisce di arrivare ad
un equilibrio tra le rivendicazioni, attraverso compromessi, che
fissino delle priorità mai definitive ed assolute. "La regola
generale" proposta da Berlin, è quella di: "mantenere un
equilibrio precario che impedisca il sorgere di situazioni
disperate, di scelte intollerabili, come primo requisito per una
società degna". Suggerisco che una possibilità di uscire dalla
vaghezza del discorso berliniano, sia quella di ricorrere alla
tecnica del
bilanciamento o della
ponderazione, un metodo
86
Ivi, pp. 17-18.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
adoperato dalle Corti costituzionali, nel caso in cui si
verifichino conflitti tra principi e valori fondamentali.
La
ponderazione è una valutazione tra due principi o valori
configgenti, fatta non in generale, ma caso per caso
tecnica della
ponderazione, esclude che possa darsi una
gerarchia assiologica unica tra principi e valori etici, e ammette
la necessità, che tra valori diversi si scelga solo di volta in
volta, sia pure razionalmente, cioè adducendo ragioni
Dunque la tecnica della
ponderazione, sembra essere uno
strumento soddisfacente per ridurre al minimo i conflitti tra
valori e conservare un equilibrio, seppur minimo e bisognoso
di continue correzioni.
A questo punto resta da rispondere alla terza delle nostre
domande, e vedere se il concetto di diritti come
capacità
umane,
possa configurarsi come criterio universalmente valido,
capace di rispettare
il pluralismo delle culture. Per rispondere
partiamo ancora una volta da Berlin: il filosofo di Oxford ha
sostenuto nei suoi scritti, la tesi che il primo dovere pubblico
da sostenere, per non far sfociare il conflitto tra valori in un
contesa senza soluzione, è "quello di evitare punte estreme di
87 R. Guastini,
Teoria e dogmatica delle fonti, pp. 230-231. 88 B. Celano,
Defeasibility e bilanciamento: sulla possibilità di revisioni stabili, pp. 223-239.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
coerente alla tesi del
pluralismo dei valori, ha ammesso
l'esistenza di "valori che se non universali, sono almeno tali da
costituire un minimum, senza il quale le società difficilmente
potrebbero sopravvivere". Ora dal concetto di "minimo
necessario" di cui parla Berlin, possiamo ricavare l'idea che la
nostra tesi sui "
diritti come capacità umane", per essere
rispettosa del fatto del pluralismo morale e qualificarsi come
teoria universalmente accettata, debba essere una
thin theory,
cioè una teoria sottile di ciò che è giusto,
codice morale minimo, condivisibile da individui e culture con
valori e concezioni del bene differenti, in virtù della loro
comune appartenenza all'umanità.
La differenza tra una teoria sottile (
thin) e una spessa
(
thick) seconda, dipende dal nostro
essere situati all'interno di un determinato contesto storico e di
specifiche tradizioni culturali, mentre una teoria sottile, è
quella che si libera dal proprio radicamento in una comunità
particolare e raduna un'insieme di principi universali elaborati
dalle varie culture. Una teoria morale minima consiste dunque:
89 I. Berlin,
sulla ricerca dell'ideale, pp. 17-18. 90 Sul punto vedi: M. Ignatieff,
Una ragionevole apologia dei diritti umani, pp. 57-58. 91 Sul punto vedi: M. Walzer,
Geografia della morale, p. 13-30.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
"in principi e regole che si sono sviluppate in diversi tempi e
luoghi e sono ritenuti simili anche se si esprimono in diverse
lingue e riflettono diverse storie e diverse visioni del mondo"
La teoria sottile del giusto che le diverse culture accettano, è
definita dal rispetto di quello che Berlin definiva come "primo
dovere pubblico" e cioè "quello di evitare punte estreme di
sofferenza". Salvatore Veca, ha recentemente proposto un
analogo punto di vista, sostenendo che: "una tesi
universalistica sui diritti umani mira a proteggere le persone
per ciò che può loro accadere nello spazio del male e non deve
invadere lo spazio dei beni umani."
all'esperienza del male e della sofferenza, si spiega con la
necessità di rispettare il fatto del pluralismo. D'accordo con
Berlin, Veca sostiene il riconoscimento della varietà del bene
umano, e ritiene i tentativi di giungere, a qualcosa come una
concezione immutabile e sempre valida del bene, come
destinati al fallimento e incoerenti con il fatto del pluralismo.
La via più promettente, per arrivare ad teoria leggera
universalmente accettabile su ciò che è giusto, è quindi quella
di focalizzare l'attenzione, su ciò che rende impossibile il
92
Ivi, p. 29. 93 S. Veca,
I diritti umani e la priorità del male, pp. 121-122.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
raggiungimento di qualsivoglia bene umano e cioè
sull'esperienza del male. In definitiva, come ha sostenuto
Michael Ignatieff: "Dobbiamo sviluppare un'idea di diritti
umani sulla base di quel che sono gli esseri umani, lavorando
su assunzioni riguardanti quanto di peggio siamo in grado di
fare e non su speranzose aspettative del meglio".
Ora, anche la nostra idea di diritti come
capacità umane
rispetta il fatto del pluralismo, come impossibilità di costruire
uno spazio condiviso di valori comuni, a partire da un'unica
concezione del bene. Inoltre concentrandosi su quello che le
persone sono in grado di fare e di essere, il linguaggio delle
capacità, non privilegia nessuna prospettiva culturale
particolare e può essere sostenuto da culture diverse da quella
occidentale, visto che come ha osservato Martha Nussbaum:
"non c'è cultura in cui la gente non si chieda che cosa sia in
grado di fare e quali opportunità di funzionamento abbia".
concetto di capacità umane non promuove nessun idea di vita
buona, esso si occupa semplicemente di proteggere le persone,
dalle forme di sofferenza sociale che colpiscono sia la nostra
dimensione di pazienti morali, perché ci impediscono di
94 M. Ignatieff,
Una ragionevole apologia dei diritti umani, p. 82. 95 M. Nussbaum,
Diventare persone, p. 118.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
accedere ai funzionamenti di base e alla possibilità stessa di
sopravvivere. Sia la nostra dimensione di agenti morali, perché
annullano la nostra capacità di scegliere una vita che sia degna
di essere vissuta e degradano la nostra esistenza, a quella di
pazienti morali privi di autonomia.
Alla fine di questo lungo paragrafo, possiamo dunque,
avanzare tre proposizioni:
1) Il pluralismo è la prospettiva migliore tra le tre
proposte, perché rispetta l'esistenza di una pluralità di fini e di
valori, verso i quali gli uomini possono legittimamente
aspirare, non imponendo il perseguimento di un'unica
concezione di ciò che è bene, come invece fa il monismo.
Inoltre a differenza del relativismo, il pluralismo considera
l'importanza dei valori nel costruire l'identità di una cultura, e
nel contempo permette un confronto tra questi, a partire dal
dato della comune appartenenza alla natura umana.
2) Il pluralismo dei valori, è l'unica prospettiva sulla quale
costruire una teoria leggera dei diritti umani, che possa essere
universalmente condivisibile. Ciò, perché la tesi pluralista non
prende posizione in favore di una particolare concezione del
bene o di uno specifico pacchetto di valori, ma, si preoccupa di
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
evitare che il verificarsi di punte estreme di sofferenza, renda
impossibile il raggiungimento di qualsivoglia concezione del
3) Il concetto di capacità umane da noi proposto, assume
come propria, la prospettiva del pluralismo dei valori e si
propone quale criterio universalmente valido, per la protezione
di tutti gli esseri umani dalle forme di sofferenza e privazione,
che colpiscono la loro duplice dimensione di agenti e pazienti
3.
L'universalismo alla prova: la sfida islamica
L'immagine dell'universo islamico che ci viene proiettata
ogni giorno dai mezzi di comunicazione di massa, descrive il
fenomeno del terrorismo globale di matrice islamista, non
come il folle prodotto di un'interpretazione minoritaria e
deviante della tradizione religiosa islamica, ma come l'essenza
stessa di quella tradizione. Anche nelle analisi meno sommarie,
in cui l'equazione Islam uguale terrorismo, non viene accettata
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
e si sottolinea la natura largamente maggioritaria del cosiddetto
"Islam moderato", il mondo islamico viene descritto come un
monolite culturale, chiuso nella propria arretratezza e
fortemente ostile nei riguardi di valori quali, democrazia, stato
di diritto, diritti umani, eguaglianza di genere.
In questo paragrafo, tenteremo di superare simili
rappresentazioni stereotipate, mettendo in evidenza le
articolazioni e le differenze che caratterizzano il dibattito
islamico sui diritti umani. Il confronto con una tradizione
fortemente critica nei riguardi del concetto di diritti
dell'uomo,ettere alla prova la nostra tesi
pluralista sull'universalizzazione dei diritti umani. L'obbiettivo
di fondo è dimostrare come l'adesione alla politica dei diritti
umani, possa verificarsi senza la necessità di abbandonare la
propria tradizione culturale e i propri valori di riferimento.
Il dibattito sull'universalità dei diritti dell'uomo e sulla
specificità culturale islamica, ha una storia molto lunga,
risalente almeno al 1948, quando l'Arabia Saudita si rifiutò di
aderire alla
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo,
ritenendola per molti aspetti contrastante con la religione 96 Nella cultura islamica il concetto di diritti umani individuali, contrapposti a quelli del sovrano è molto antico. L'espressione è presente in arabo
huquq al-insan, in persiano
huquq-i insan, in turco
insan haklan : Ralf Elger ( a cura di),
Piccolo dizionario dell'Islam, voce: diritti umani, pp. 91-93.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
islamica. Il contrasto tra il concetto dei diritti umani e la
tradizione islamica non si fonda su un piano culturale o socio-
economico, ma su un piano religioso. Nell'Islam, religione e
politica sono strettamente collegate, perché tradizionalmente la
prassi giuridica e politica, è stata legittimata dalla sua
congruenza al dato religioso. I conflitti tra il concetto di diritti
dell'uomo e la religione islamica, sorgono innanzitutto,
nell'identificare quale sia il fondamento dei diritti. Secondo la
tradizionale concezione dei diritti dell'uomo, il fondamento è
rappresentato dall'uomo stesso, nel diritto musulmano invece,
il fondamento è Dio, nel senso che da Dio promana l'autorità e
la volontà, che determina i diritti e i doveri reciproci nelle
relazione umane. Nella visione islamica, la dignità umana
proviene dunque, dalla rivelazione divina che ne stabilisce
estensione, prerogative e regole di espressione concreta.
volontà divina riguardo all'uomo si esprime nel Corano e nella
97 Sul punto vedi: A. Pacini,
L'Islam e il dibattito sui diritti dell'uomo, pp. 5-7. 98 Nell' Islam, la
Sunna indica la tradizione sui detti e le azioni del profeta Maometto. La Sunna è dopo il Corano, la seconda fonte di norme religiose della dottrina islamica relativa alla fede e agli obblighi religiosi. 99 La
shari'a (letteralmente "la via") è l'ordine stabilito da Dio, che regola i rapporti non solo tra uomini, ma anche tra questi ultimi e il loro creatore e comprende non solo norme giuridiche, ma anche morali. La
shari'a ha preso la sua forma, almeno per quanto riguarda il sunnismo, grazie all'opera di al-Shafi'i (767-820), da allora gli interventi successivi non furono che semplici commenti che non modificarono le soluzioni e la metodologia legislativa elaborata da al-Shafi'i. Sul punto vedi: M. Talbi,
La shari'a ha ancora un futuro tra laicità e ateismo?, pp. 190-191.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
islamico, attraverso il quale la volontà divina trova concreta
espressione nel sociale. La conseguenza di questo percorso, è
che per la visione islamica, la shari'a essendo legittimata dalla
rivelazione divina, è superiore rispetto ad ogni altra fonte di
Secondo Andrea Pacini, all'interno del dibattito in corso
nel mondo musulmano sul concetto dei diritti dell'uomo, si
possono distinguere tre posizioni principali: la posizione
conservatrice, la posizione di adattamento pragmatico e la
La posizione conservatrice, è strettamente fedele alla
visione islamica tradizionale, ed è quindi critica riguardo ai
diritti universali dell'uomo, ritenuti come un portato della
cultura occidentale. Il rifiuto nei confronti del concetto di
diritti universali e delle dichiarazioni universali internazionali,
viene giustificato con la motivazione che recepire pienamente i
diritti universali dell'uomo, equivarrebbe a proclamare la
supremazia di diritti e regole umane, rispetto a diritti e regole
stabilite da Dio. In proposito è indicativa la motivazione
portata avanti dal governo saudita, in un
Memorandum steso in
risposta a una richiesta ufficiale dell'ONU, riguardante la
100
Ivi, p. 7.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
situazione dei diritti umani in Arabia Saudita. Nel
Memorandum, la mancata adesione del governo saudita alla
Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948, e al
Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali
del 1966, viene giustificata: "con la volontà inamovibile di
proteggere, garantire e salvaguardare la dignità dell'uomo,
senza distinzioni di sorta tra gli esseri umani, in virtù del
dogma islamico rivelato da Dio, e non in virtù di legislazioni
ispirate da considerazioni materialiste, e perciò soggette a
continue cambiamenti". La tendenza conservatrice ha cercato
di codificare una propria visione di diritti umani, coerente con
il tradizionale dettato islamico, in apposite dichiarazioni
islamiche contrapposte alle dichiarazioni universali. Il
principale testo in cui è contenuta la visione tradizionalista di
Islam, è
la Dichiarazione del Cairo dei diritti dell'uomo
nell'Islam, elaborata da una Commissione per i diritti
dell'uomo, insediatasi in seno all'Organizzazione della
Conferenza Islamica (OCI) e approvata dal Congresso dei
ministri degli Esteri dell'OCI tenutosi al Cairo nel 1990. Il
testo non è stato ancora promulgato e dunque non ha valore
giuridico, tuttavia esso è indicativo del substrato filosofico e
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
politico alla base delle visione tradizionalista islamica dei
diritti dell'uomo.
La
Dichiarazione del Cairo,
porta avanti il tentativo di
integrare il linguaggio dei diritti umani nel quadro del
tradizionale corpus giuridico islamico della
shari'a, senza che
quest'ultima sia rivisitata criticamente, per stimolarne
un'evoluzione coerente con il rispetto dei diritti umani
universali. Sottoponendo ad analisi il contenuto della
Dichiarazione appare evidente, come essa mantenga in vita,
non solo relazioni tradizionali di diseguaglianza presenti nel
diritto musulmano classico, come la diseguaglianza tra uomo e
donna, e tra musulmano e non musulmano, ma anche forti
limitazioni alle libertà fondamentali dell'individuo e alla sua
stessa integrità fisica
.
L'articolo 2 della
Dichiarazione ad esempio, tutela il diritto
alla vita e all'integrità fisica di ognuno, ma conserva
l'opportunità di utilizzare pene corporali e la pena di morte, nel
caso in cui vengano compiute violazioni della
shari'a, come ad
esempio il reato di apostasia. L'articolo 5 sulla libertà di
matrimonio, non menziona la possibilità di contrarre
matrimonio con un individuo di religione diversa da quella
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
islamica. L'articolo 7, sancisce la superiorità del padre rispetto
alla madre nell'educazione dei figli. L'articolo 10, nega la
libertà di coscienza, vietando la libertà di respingere la fede
islamica per abbracciarne un'altra o divenire atei (divieto di
apostasia) e considerando perseguibili i tentativi di conversione
ad altra religione, compiuti nei confronti dei musulmani
(divieto di proselitismo per i non musulmani). Inoltre la libertà
d'opinione, è limitata dal rispetto della legge islamica così
come la libertà d'informazione (articolo 22).
Insomma, soltanto considerando gli esempi presentati, la
Dichiarazione dell'OCI, fa emergere un quadro in cui il
rispetto dei diritti umani, è fortemente limitato dalla necessità
di rispettare una visione acritica della
shari'a. Una visione
tradizionalista di questo tipo è decisamente contraria alla
nostra tesi universalista sulle capacità umane, perché risponde
ad un visione monista del bene, che scaturisce da
un'interpretazione dogmatica della legge islamica. Essa non è
dunque rispettosa delle capacità umane di ogni singolo
individuo e soprattutto non rispetta l'uguaglianza senza
distinzioni tra gli esseri umani.
Una seconda posizione presente nel mondo islamico
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
riguardo ai diritti umani, è quella pragmatica. Essa riguarda la
concreta prassi politica e giuridica di molti stati musulmani che
in diversi campi hanno introdotto, misure giuridiche rispettose
dei diritti umani, innovative rispetto al diritto musulmano
classico. Un esempio di tale tendenza è quello della Tunisia
che ha adottato una legislazione che garantisce parità di diritti
e di doveri, dei coniugi nel matrimonio. Altri stati come
l'Egitto, il Libano, la Giordania, la Siria hanno invece
eliminato le principali forme di discriminazione nei confronti
dei non-musulmani cittadini
Il limite dell'adattamento pragmatico, è che non affronta
in profondità la sfida culturale di attuare una revisione critica
dell'Islam e del diritto musulmano, in grado di garantire una
più ampia acquisizione dei diritti umani. La visione
pragmatica, riesce ad ottenere esiti positivi e innovativi in
specifici campi, ma non avendo un adeguato sostegno culturale
e filosofico produce risultati che possono essere messi sempre
in discussione, di fronte a fenomeni di reislamizzazione. Un
esempio dei limiti della visione pragmatista è costituito dalla
vicenda dell'adozione della cosiddetta legge
Jihane in Egitto 101 Tuttavia in questi stessi stati permangono in vigore normativa che nei casi concreti non rispettano tale parità e mantengono situazioni discriminatorie nei confronti dei non-musulmani. Sul punto vedi: B. Botiveau,
il diritto dello stato nazione e lo status dei non musulmani in Egitto e in Siria, pp. 121-138.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
nel 1979. Tale legge, riguardante il diritto di famiglia
introduceva una disciplina molto innovativa nel garantire e
recepire i diritti delle donne. Per evitare che l'iter parlamentare
ne stravolgesse i contenuti, essa era stata promulgata
direttamente dall'allora presidente della Repubblica egiziana
Sadat. L'applicazione della legge fu però ostacolata da molti
tribunali con la motivazione che essa non fosse conforme alla
shari'a. Sottoposta alla duplice opposizione degli
Ulama
(dottori della Legge islamica di orientamento tradizionalista)
e
dei movimenti islamisti, la legge venne dichiarata
incostituzionale nel 1985. Esempi del genere, sono indicativi
della fragilità di processi di riforma calati dall'alto, senza che
essi abbiano ricevuto la necessaria legittimazione culturale.
Tuttavia, nonostante i limiti evidenziati, l'approccio
pragmatista resta un importante strumento per dar vita, a quelle
che John Rawls chiama
società gerarchiche decenti.Nella
costruzione teorica di Rawls i
popoli gerarchici decenti, sono
assieme ai
popoli liberal-democratici,
popoli ben ordinati
102 J. Rawls, il diritto dei popoli, pp. 82-90. 103 Rawls ha ripreso il termine "ben ordinati" da Jean Bodin che nella sua opera I sei libri dello Stato parla di "République bien ordonnée". Per Rawls I popoli ben ordinati sono quelli che vivono in una società ben ordinata, cioè una società in cui: 1) ognuno accetta e ognuno sa che tutti gli altri accettano gli stessi principi di giustizia politica. 2) L'opinione pubblica sa che la struttura di base della società (le sue principali istituzioni politiche e sociali), soddisfa tali principi di giustizia. 3) I cittadini hanno un senso di giustizia normalmente efficace; in altri termini, essi hanno un senso di giustizia che
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
destinatari del "diritto dei popoli", cioè di "una particolare
concezione politica del giusto e della giustizia valida per i
principi e le norme del diritto e della pratica internazionali".
In questa sede, piuttosto che fornire un'analisi della teoria
rawlsiana sul "diritto dei popoli", ci interessa concentrarci sul
concetto di società decente, per dimostrare che anche società
con un assetto istituzionale non liberal-democratico, possono
rispettare e proteggere i diritti umani.
Con "popoli gerarchici decenti", Rawls intende popoli non
liberali, nelle cui società tuttavia, esiste a livello di struttura di
base, una gerarchia di consultazione decente. In queste società
cioè, "le persone in quanto membri di associazioni,
corporazioni e ceti hanno il diritto di esprimere il proprio
dissenso politico a un certo punto della procedura di
consultazione[…], e il governo ha l'obbligo di tenere in debita
considerazione il dissenso di un gruppo e di fornire risposte
serie".Inoltre, un popolo decente deve rispettare altre due
condizioni: deve onorare le leggi della pace e non avere mire
aggressive nei confronti degli altri popoli; e deve avere un
sistema giuridico tale da rispettare i diritti umani e imporre permette loro di comprendere e applicare i principi di giustizia pubblicamente riconosciuti. J. Rawls. Giustizia come equità, p. 11. 104 Ivi, p. 5 105 Ivi, p. 94.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
doveri e obblighi (e non semplici comandi), alle persone che
vivono all'interno del suo territorio.
Il concetto di "società decente", ci permette di pervenire
alla conclusione che per rispettare i diritti umani, non è
necessario possedere istituzioni liberal-democratiche, basta
avere istituzioni "decenti" secondo il significato che Rawls ha
dato a questo concettoportante per due ragioni: In
primo luogo perché in nome del rispetto dei diritti umani, non
possiamo trasformare la liberal-democrazia in una religione
dell'umanità, da esportare anche attraverso l'utilizzo della
forza, a popoli con istituzioni diverse dalle nostre. Ogni
argomentazione a favore dell'universalizzazione dei diritti
umani, verrebbe infatti respinta dalle altre culture, se
prevalesse l'idea che per rispettare i diritti umani, esse debbano
omologarsi al nostro tipo di società.
In secondo luogo, rispettare il fatto del pluralismo significa
accettare che vi siano società come quelle che Rawls chiama
"decenti", che sebbene rispettose di un nucleo minimo di diritti
106 Ivi, p. 88. 107 Secondo Rawls, I diritti umani: "sono indipendenti da qualsiasi dottrina religiosa comprensiva particolare, né fanno appello a qualche dottrina filosofica della natura umana" Ivi, p. 89. I diritti umani, stabilirebbero dunque, "uno standard necessario, anche se non sufficiente, per la decenza di istituzioni politiche e sociali delle singole società". Ivi, p. 105. Sulle tesi avanzate da Rawls ne Il diritto dei popoli, e sul concetto di società decente, vedi anche l'interessante saggio di Corrado Del Bò, Rawls e la teoria della giustizia internazionale, pp. 117-133.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
umani, abbiano valori e pratiche istituzionali diversi dai nostri.
La terza posizione presente nel mondo islamico è quella
riformista. Gli intellettuali che si collocano all'interno di
questa corrente, sostengono che occorre fornire una nuova
interpretazione dell'Islam, affinché esso sia in grado di
affrontare i problemi posti dalla modernità e dal dialogo con le
altre culture. Uno dei punti qualificanti della tendenza
riformista, riguarda il riconoscimento della tensione esistente
tra determinate disposizioni della Shari'a e i principi e ai valori
alla base del concetto di diritti universali dell'uomo. I
riformisti ritengono errato, ogni approccio che provi
semplicemente ad integrare i diritti umani nel quadro giuridico
tradizionale, senza attuare la necessaria revisione critica del
diritto musulmano, così come ogni approccio puramente
pragmatico che non si preoccupi di supportare culturalmente le
innovazioni apportate. Secondo i riformisti, nell'Islam sono
presenti valori compatibili con i diritti universali dell'uomo, a
patto che si accolga la sfida di reinterpretare le fonti della
dottrina islamica, superando le interpretazioni giuridiche
tradizionali e elaborandone di nuove, capaci di risolvere i
problemi posti dal mondo moderno e dalla ricezione dei diritti
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Il punto di partenza di pensatori riformisti, come il
tunisino Mohamed Talbi e il sudanese Abdullahi an-Na'im è
che la shari'a così come la conosciamo non è l'intero Islam,
ma un interpretazione delle sue fonti basilari, che è stata data
in un contesto storico ben preciso e pertanto non è applicabile
automaticamente a circostanze storiche differenti
Secondo Talbi ad esempio, i limiti posti dalla shari'a alla
libertà e ai diritti umani, sono il frutto di un interpretazione
dell'Islam propria di altre epoche che si è acriticamente
tramandata fino ai giorni nostri. Talbi, sostiene che questa
visione non appartiene al fondamento dell'Islam, ma è dovuta
a circostanze storiche determinate dal passato. Per rinnovare la
cultura musulmana, Talbi propone di superare l'interpretazione
letterale dei testi, per utilizzare una lettura "intenzionalista"
che ricerchi "al di là della lettera dei testi, Corano e Sunna, la
loro intenzione soggiacente, che riveli la finalità da essi
ricercata e la direzione da seguire".
lettura, Talbi riesce a dimostrare, come il Corano sia lettera
vivente e fonte perenne di ispirazione che si rivolge al futuro, 108 Sul punto vedi: A. Ahmed an-Na'im, Il conflitto tra la Shari'a e i moderni diritti dell'uomo: proposta per una riforma dell'Islam, pp. 103-120; M. Talbi, La Shari'a ha ancora un futuro tra laicità ed ateismo? pp. 195-199. 109 Ivi, p. 195.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
da cui trarre principi e valori per interpretare le sfide poste
dalla modernità e dai diritti umani.
Sempre nell'ambito della tendenza riformista, di grande
interesse è il pensiero dell'intellettuale sudanese Abdullahi
Ahmed an-Na'im. Partendo dalla consapevolezza
dell'incompatibilità, di determinate disposizioni della legge
islamica rispetto ai diritti umani universali, an-Na'im propone
di utilizzare un metodo innovativo di esegesi delle fonti
primarie, attraverso il quale attuare una revisione della shari'a
che la renda aperta alla moderna concezione di diritti umani.
Secondo an-Na'im i giuristi fondatori della shari'a,
nell'interpretare le fonti primarie ebbero la tendenza ad
intenderle come una conferma delle attitudini e delle istituzioni
sociali allora esistenti, selezionando tra i testi della shari'a,
quelli che ritenevano compatibili, con quello che essi
credevano fosse l'intento delle fonti e accantonando i testi
considerati inconciliabili. Ora, per an-Na'im, "lavorando con le
stesse fonti primarie, i giuristi islamici di oggi, potrebbero
trasferire l'enfasi da una serie di testi ad un'altra, interpretando
i testi precedentemente approvati in modo consono a una
nuova comprensione di ciò che si crede sia l'intento e lo scopo
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
delle fonti".
sarebbe quello di selezionare i testi più aperti alle esigenze del
mondo contemporaneo, in modo tale da fornire una
legittimazione da un punto di vista islamico alla moderna
concezione dei diritti dell'uomo.
L'elemento che accomuna gli intellettuali riformisti è in
primo luogo, la convinta adesione personale all'Islam come
cultura e come religione. Il loro intento è di aprire l'Islam alla
modernità e al pluralismo, attraverso una ridefinizione delle
categorie culturali e religiose tradizionali. Riguardo alla
questione specifica dei diritti umani, la loro preoccupazione è
quella di proporne una legittimazione culturale fondata sulle
stesse fonti del diritto islamico. La prospettiva riformista
costituisce dunque, una "terza via", tra la ricezione acritica
della civiltà e della cultura occidentale, che avrebbe come
effetto la distruzione della vita collettiva e dell'identità storica
della cultura musulmana, e il ripiegamento su una posizione
tradizionalista che produrrebbe l'effetto di perpetuare
l'arretratezza della cultura islamica rispetto alle sfide poste
dalla modernità. Nell'ottica della nostra tesi pluralista
sull'universalizzazione, il punto di vista del riformismo
110 A. an-Na'im, il conflitto tra la Shari'a e i moderni diritti dell'uomo, pp. 114.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
islamico è estremamente importante, perché ci permette di
impostare un dialogo multiculturale, in cui la ricerca di un
accordo sui diritti umani, viene compiuta permettendo ad ogni
cultura di preservare le proprie forme di vita e la propria
Possiamo quindi, concludere asserendo che il modo
migliore che abbiamo per favorire l'adesione del mondo
islamico alla politica dei diritti umani, sia quello di supportare
il progetto di rinnovamento interno della cultura islamica, che i
riformisti intendono portare avanti. Tuttavia pur con tutti i
limiti che abbiamo evidenziato, anche la soluzione
dell'adattamento pragmatico delle istituzioni islamiche alla
politica dei diritti umani è da sostenere, nel caso in cui riesca a
creare delle società decenti rispettose dei diritti umani.
4. Conclusioni.
L'adesione ad una pratica universale dei diritti umani, non
potrà avvenire sulla base di ragioni e pratiche esclusivamente
occidentali. In un mondo caratterizzato dal fatto del
pluralismo, ogni cultura non può che esprimere in una maniera
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
conforme ai propri valori e dunque necessariamente diversa
rispetto a quello delle altre culture, le ragioni della propria
adesione al lessico dei diritti umani. Per seguire delle
argomentazioni avanzate da Sebastiano Maffettone, bisogna
distinguere tra giustificazione e legittimazione dei diritti
umanilitica dei diritti umani, ci
deriva dalla tesi sulla priorità del male e dalla necessità di
mettere al bando, le limitazioni e le ingiustizie che
impediscono il realizzarsi delle capacità umane. La
legittimazione dei diritti umani, invece, non può che tenere
conto della differenze tra le culture e delle diverse ragioni
attraverso le quali, esse aderiscono al linguaggio dei diritti
umani. Quello che importa è quindi, che i diritti umani siano
garantiti e tutelati, non le ragioni per cui essi lo siano.
111 S. Maffettone, Liberalismo, multiculturalismo e diritti umani, pp. 221-222.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Estensione e confini del concetto di diritti
1. Forme dell'ingiustizia.
L'evoluzione dell'idea di diritti umani, è andata di pari
passo alle trasformazioni sociali avvenute nelle società
contemporanee. Di conseguenza parlare di uomo come
soggetto astratto destinatario di diritti, senza considerare i
cambiamenti provocati dall'evoluzione storica, non serve a
individuare né la quantità delle esigenze umane meritevoli di
tutela, né le diverse forme di protezione di cui l'uomo ha
bisogno, a seconda delle sue caratteristiche specifiche quali
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
età, sesso, condizioni fisiche
Non a caso, le carte dei diritti che si sono succedute negli
ultimi cinquant'anni, hanno come oggetto non solo l'uomo
genericamente considerato, ma anche l'uomo nelle sue
caratteristiche specifiche, per cui, solo per fare alcuni esempi
abbiamo: la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di
discriminazione nei confronti della donna del 1979, la
convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, la Dichiarazione
dei diritti del minorato mentale nel 1971. Se poi, invece, che ai
documenti giuridici ci riferiamo alle semplici richieste di
riconoscimento di diritti, l'elenco diventa pressoché sterminato
ed avremo: diritti di procreare o diritti al figlio; diritto ad un
patrimonio genetico non manipolato o diritto a nascere sano;
diritto a morire con dignità e diritto al suicidio assistito.
Insomma, quello che si vuole sottolineare, è che oggi le
richieste di diritti riguardano tutte le fasi e gli aspetti della vita
umana. Tale processo di moltiplicazione, degli ambiti di
applicazione del concetto dei diritti umani, pone una serie di
interrogativi su quelli che possono o no, essere considerati
diritti umani, tanto che già da un po' di tempo, si parla della
112 Abbiamo già visto, parlando dell'approccio delle capacitazioni di Sen, l'importanza di prendere in considerazione le differenze inter-individuali. Vedi sopra pp. 24-25.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
presenza di almeno tre "generazioni dei diritti umani": nella
prima sarebbero collocati i classici diritti di libertà che
rivendicano la non ingerenza dello stato nella sfera privata
degli individui; nella seconda i diritti economici, sociali e
politici che permettono una maggiore partecipazione dei
cittadini alla vita politica e per cui è richiesto un intervento
attivo dei pubblici poteri; nella terza sarebbero presenti diritti
eterogenei, diritto a vivere in un ambiente sano, diritti di
genere, diritti a vedere rispettata la propria identità culturale,
derivanti principalmente dalle rivendicazioni dei movimenti
sociali sul finire degli anni sessanta.
In questo capitolo, c'impegneremo ad affrontare il
problema dell'estensione e dei confini del concetto di diritti
umani, esaminando due questioni controverse quali, quella dei
diritti sociali e quella dei diritti differenziati in funzione
dell'appartenenza di gruppo. La prima ha a che fare con un
quesito tradizionale della filosofia politica, cioè il problema
dell'inclusione dei diritti sociali all'interno della categoria di
diritti umani. La questione dei diritti sociali, verte su pretese
riguardanti l'accesso al sistema di distribuzione delle risorse
sociali. Ci troviamo dunque di fronte ad un conflitto di tipo
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
distributivo o meglio ad un problema di "ingiustizia
distributiva",li attori avanzanti pretese
sono date o assegnate e l'incertezza, di conseguenza, verte su
quale sia il migliore criterio per ordinare tra loro pretese
La seconda questione controversa, è quella dei diritti
differenziati per gruppo, cioè l'idea che vi siano diritti che
possano essere goduti dal singolo individuo, soltanto in
relazione con altri e quindi in un contesto di gruppo. In questo
caso abbiamo a che fare con una forma di conflitto di tipo
identitario e dunque a casi di "ingiustizia identitaria",
ci troviamo, di fronte a "pretese concernenti il riconoscimento
Nei casi di "ingiustizia identitaria", i conflitti che
riguardano il riconoscimento di interessi relativi alla
distribuzione di costi e benefici, lasciano il posto a quelli che
riguardano la rivendicazione e l'affermazione pubblica delle
113 F. Sciacca, Ingiustizia vs. restrizione, p. 138, descrive il caso dell'ingiustizia distributiva come quello in cui: " a qualcuno non è dato qualcosa che gli è dovuto, mentre a qualcun altro e dato qualcosa che gli è dovuto o anche qualcosa di più". 114 S. Veca, Il dilemma della condivisione, p. 194. 115 F. Sciacca, Ingiustizia vs. restrizione, p. 139, sostiene che si ha "ingiustizia identitaria" quando a qualcuno indebitamente non viene riconosciuta la dignità di persona, laddove ad altri questo riconoscimento non viene negato". 116 S. Veca, il dilemma della condivisione politica, p. 195. La tipologia dei conflitti sociali, a cui fa riferimento Veca, è stata messa a punto da A. Pizzorno, Le radici della politica assoluta, pp. 187-203.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
diversità, nonché lo scontro per il loro riconoscimento. In
conflitti di questo tipo, l'ingiustizia si verifica quando non
viene riconosciuta al soggetto, la pretesa di partecipare con la
propria identità specifica, alla costruzione delle istituzioni e
delle pratiche alla base del mondo sociale in cui vive.
La distinzione, tra casi di conflitto distributivo e quelli di
conflitto identitario, non è sempre, chiara e immediatamente
percepibile. Spesso, i gruppi minoritari, domandano politiche
di redistribuzione delle risorse economiche, come ad esempio,
misure di affirmative action,
alle principali istituzioni economiche e scolastiche. Tuttavia, le
misure politiche concrete richieste dai gruppi minoritari, anche
quando assumono la veste di politiche distributive, sono
sempre funzionali al riconoscimento pubblico della loro
identità minoritaria. In altre parole, il bene oggetto delle
richieste dei gruppi minoritari, è il riconoscimento della loro
identità, le misure concrete, con cui questo bene viene tutelato,
possono anche essere, politiche di tipo redistributivo.
Il dilemma fondamentale di questo capitolo, sarà quello di
stabilire se i due casi di ingiustizia (distributiva ed identitaria), 117 Sul punto S. Veca, La bellezza e gli oppressi, pp. 134 -135. 118 Esempi di affirmative action, sono le quote riservate agli studenti di colore, nelle università americane a numero chiuso, oppure i posti di lavoro nel pubblico impiego, garantiti alle persone disabili.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
possano essere affrontati, estendendo il concetto di diritti
umani ai diritti sociali nel caso di conflitto distributivo, e ai
diritti differenziati per gruppo nel caso di conflitto identitario.
2. La questione dei diritti sociali.
Il tema dei diritti sociali, è un punto controverso sia dal
punto di vista della dottrina giuridica, sia nella discussione
filosofica-politica. In questo paragrafo, cercheremo
innanzitutto di fornire una definizione di diritti sociali, in
seguito discuteremo delle ragioni teoriche a sostegno di questo
concetto ed infine cercheremo di capire, se i diritti sociali
possano essere inseriti all'interno della categoria dei diritti
Da un punto di vista storico, i cosiddetti diritti sociali
trovano domicilio all'interno delle costituzioni contemporanee,
con l'evoluzione dello stato di diritto, in stato sociale. La
caratteristica principale dello Stato sociale, è di avere tra i suoi
fini fondamentali, quello di intervenire nei rapporti sociali per
modificarne gli effetti a favore di determinati individui e
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
gruppi. Questa classe di soggetti, è costituita da coloro i quali
vengono indicati come i diversi. "Diversi, rispetto a un
parametro di normalità sociale costruito intorno agli assi della
cittadinanza, dell'età, delle inclinazioni sessuali, della salute
stato liberale ottocentesco, il cui carattere principale era il non-
interventismo nelle questioni socio-economiche, lo Stato
sociale, sorto dopo la seconda guerra mondiale si propone di
intervenire in tre direzioni:
1) garantendo ai singoli e alle famiglie un reddito minimo,
indipendentemente dal valore di mercato del loro lavoro o del
loro patrimonio.
2) Riducendo l'insicurezza sociale, mettendo chiunque in
grado di far fronte a difficili congiunture: malattia, vecchiaia,
3) Garantendo a tutti, senza distinzione di classe né di
reddito, le migliori prestazioni possibili relative ad un
complesso di servizi predeterminati.
Le garanzie giuridiche a tutela dei fini che lo Stato sociale
intende perseguire, sono costituite dai cosiddetti diritti sociali. 119 Sulla categoria di soggetti deboli, vedi M. Ainis, I soggetti deboli nella giurisprudenza costituzionale, p. 25-51. 120 Ho tratto questo breve elenco dei compiti dello Stato sociale, da A. Briggs, Le origini del welfare state, p. 256.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Una prima osservazione da fare, riguardo al concetto di diritti
sociali e che esso, come ha osservato Bobbio, si riferisce:
"all'insieme delle pretese o esigenze da cui derivano legittime
aspettative, che i cittadini hanno, non come individui singoli,
uno indipendente dall'altro, ma come individui sociali che
vivono, e non possono non vivere, in società con altri
ensione sociale a cui si riferisce Bobbio,
rimanda ad un'altra caratteristica dei diritti sociali e cioè alla
necessità che il loro riconoscimento sia garantito
dall'intervento positivo dei poteri pubblici. In questo senso,
qualificandosi come diritti che necessitano dell'intervento dei
poteri pubbliciente goduti, (da qui, la
qualifica di "diritti a prestazioni"), essi si differenziano dai
cosiddetti "diritti di libertà", corrispondenti ad un dovere di
astensione da parte dello Stato. Si potrebbe discutere molto,
sulla reale fondatezza teorica, dell'opposizione tra diritti di
libertà e diritti sociali. Come ha infatti, osservato Palombella,
la distanza che separa diritti di libertà dai diritti sociali si
riduce notevolmente, se si procede ad un accertamento
sostanziale dei diritti soggettivi e non si definisce 121 N. Bobbio, Teoria generale della politica, p. 458. 122 Tuttavia, come fa notare F. Sciacca, Ingiustizia politica, pp. 153-154, "non è per nulla scontato che le agenzie di tutela potrebbero/dovrebbero iscriversi in una dimensione del tutto statale".
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
aprioristicamente il tipo di rapporto che il diritto
strutturalmente integra o implica (omissioni, prestazioni).
Tuttavia, lo scopo del nostro lavoro, non è la ricostruzione
giuridica della nozione di diritti sociali, bensì quello di
ricercare buone ragioni di carattere filosofico per sostenerne la
legittimità. Ora per rispondere a questa domanda, dobbiamo
svolgere una breve riflessione attorno al concetto di libertà.
Riprendendo e reinterpretando la ripartizione di Isaiah
Berlin, Amartya Sen ha distinto tra due concezioni di libertà.
Una concezione di "libertà negativa", come "libertà da", che
prende in considerazione l'assenza di vincoli che una persona
può esercitare su di un'altra o che lo Stato può imporre sugli
individui, ed una nozione di "liberta positiva", come "libertà
di", la quale si concentra su quello che una persona è
effettivamente in grado di fare o di essere, piuttosto che
sull'assenza di restrizioni e di interferenze.o tipo di
libertà sarebbe solo "formale", il secondo tipo sarebbe "libertà
sostanziale". Ora secondo Sen, libertà negativa e libertà
123 La stessa identificazione dei diritti di libertà come diritti che comportano obblighi di astensione da parte dello stato sarebbe fuorviane, in quanto non sempre costituirebbe garanzia esaustiva della consistenza e del significato del diritto. In realtà, le classificazioni giuridiche tradizionali, continuerebbero a sovrapporre il diritto e quanto poi serve per tutelarlo, scambiando così l'obbligo di astensione con il contenuto del diritto. G. Palombella, L'autorità dei diritti, p. 43-45. 124 A. Sen, La libertà individuale come impegno sociale, p. 24.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
positiva non sarebbero contrapposte, bensì profondamente
interrelate, la concezione negativa sarebbe un'accezione
"stretta" della libertà" concentrata sull'assenza di impedimenti,
mentre quella positiva sarebbe una concezione larga di libertà
che si identifica con la possibilità di fare del soggetto,
comprendendo tanto l'aspetto negativo (l'assenza di
impedimenti), quanto l'aspetto positivo (il possesso del
potere). Assodata la complementarietà dei due concetti di
libertà, ritorniamo al problema della giustificazione dei diritti
sociali. Secondo una distinzione di tipo classico, i cosiddetti
diritti di libertà, proteggerebbero gli individui da vincoli ed
interferenze provenienti da altri individui o dallo stato. In
pratica, essi tutelerebbero la "libertà negativa" di ogni
individuo. I diritti sociali invece, attribuirebbero agli individui
non solo la facoltà, ma anche il potere di fare. In concreto, essi
attribuirebbero all'individuo, la "libertà sostanziale", di
rendere concrete le astratte possibilità garantite dalla pura e
semplice "libertà formale". Insomma, i diritti sociali sono
giustificati, in quanto essi sono la necessaria condizione per
l'esercizio effettivo dei diritti di libertà, così come la libertà
positiva è la condizione per l'esercizio effettivo della libertà
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
3. Diritti sociali internazionali?
I diritti sociali, hanno trovato spazio nei principali
documenti giuridici sui diritti umani. Ad essi, si riferiscono gli
articoli 22-27 della Dichiarazione Universale dei diritti
dell'uomo, che li considera "indispensabili per la dignità
dell'individuo e per il libero sviluppo della sua
personalità"(art. 22). Inoltre ai diritti sociali è dedicato anche il
Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e
culturali. Tuttavia, l'inserimento dei diritti sociali all'interno
della categoria dei diritti umani, va incontro a un ostacolo non
facilmente risolvibile: la debolezza degli strumenti a
disposizione per la loro tutela.
Abbiamo definito i diritti sociali, come diritti per i quali è
presupposto necessario, l'intervento dei pubblici poteri (o di
125 La tesi della complementarietà tra libertà positiva e libertà negativa, è stata sostenuta dalla tradizione politica del socialismo liberale italiano, rappresentata da pensatori come Rosselli, Calogero, Calamandrei, Bobbio. Sull'argomento vedi l'interessante saggio di F. Sbarberi, L'utopia della libertà eguale. Il liberalismo sociale da Rosselli a Bobbio, p. 72-74. " Se la libertà implica per ogni individuo, negativamente, la liberazione da ogni forma di costrizione esterna, essa comprende anche, positivamente, la ricerca del proprio sviluppo e del proprio perfezionamento morale[…] "L'assenza di dipendenza materiale, è quindi la condizione preliminare per accedere all'uso generalizzato delle libertà, e in particolare per usufruire attivamente dei diritti civili e politici".
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
agenzie di tutela private), "giacché solo quando sono state
poste in essere le condizioni di fatto necessarie per il loro
godimento questi danno luogo a pretese giuridicamente
azionabili".per essere realizzati,
hanno bisogno di ben precise risorse economiche, e quindi, di
un assetto economico capace di produrre e ridistribuire la
ricchezza. Ora, simili condizioni sono presenti all'interno delle
liberal-democrazie occidentali, ma non esistono nella quasi
totalità dei paesi in via di sviluppo, che non dispongono delle
risorse necessarie per dar vita a sistemi di redistribuzione del
reddito, che possano garantire ai propri cittadini i diritti sociali.
Le difficoltà economiche potrebbero essere superate, se
esistessero istituzioni economiche internazionali, in grado di
attuare politiche di redistribuzione della ricchezza su scala
globale in grado di eliminare le diseguaglianze tra nord e sud
del mondo. Ma, come è noto, questa è una condizione non
presente nell'attuale sistema politico internazionale. In assenza
delle condizioni materiali adeguate, mi pare dunque, errato
inserire i diritti sociali all'interno della categoria dei diritti
umani. Infatti, anche se esistesse un ordinamento giuridico
internazionale maggiormente efficace nel proteggere e
126 P. Caretti, I diritti fondamentali: libertà e diritti sociali, p. 372.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
garantire i diritti umani rispetto a quello attuale, esso non
sarebbe comunque in grado, di far rispettare i diritti sociali
internazionali, in assenza delle necessarie condizioni
economiche e materiali.
Abbiamo dunque visto, che esistono buone ragioni per
giustificare la rivendicazione di diritti sociali per tutti gli
individui, tuttavia abbiamo constatato che per la loro specifica
natura, i diritti sociali necessitano di particolari condizioni di
sviluppo economico, che ne rendano possibile l'attuazione.
Possiamo quindi concludere asserendo che, in assenza di un
sistema di redistribuzione della ricchezza su scala globale, non
è possibile inserire i diritti sociali all'interno della categoria di
4. Il problema del multiculturalismo
In società contemporanee caratterizzate dalla presenza di
gruppi culturalmente eterogenei, portatori di diversi valori e
visioni del mondo, la filosofia politica contemporanea, si è
trovata di fronte alla necessità di elaborare proposte adeguate
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
ai problemi posti dal fatto del multiculturalismo, primi fa tutti
alle domande di diritti collettivi, legate al riconoscimento
identitario dei gruppi minoritari. Il problema del
multiculturalismo, è divenuto così l'argomento centrale di
numerose opere filosofiche contemporanee, dando vita a
molteplici interpretazioni del concetto. La vivacità del dibattito
filosofico sul multiculturalismo, costituisce sicuramente una
circostanza positiva ma, può avere la controindicazione di
rendere vago l'utilizzo di questo concetto. Per questo motivo,
prima di procedere alla trattazione delle sfide teoriche poste
dal fatto del multiculturalismo, è opportuno chiarire il
significato che intendiamo dare a questo concetto.
La prima questione da affrontare, riguarda l'utilizzo
dell'idea di multiculturalismo: in un'accezione descrittiva, esso
designa il dato di fatto, della presenza di una pluralità di gruppi
culturali, all'interno di una realtà territoriale giuridicamente
ordinata. Da un punto di vista normativo, invece, con
multiculturalismo o meglio con società multiculturale, si
intende la convivenza pacifica e stabile dei gruppi culturali,
all'interno di uno spazio pubblico aperto al riconoscimento
delle identità minoritarie e all'accettazione delle differenze
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Una seconda questione da chiarire, riguarda il significato
stesso del termine "multiculturalismo". Negli Stati Uniti ad
esempio, i sostenitori del "multiculturalismo" comprendono
all'interno di questo concetto, non solo le lotte per il
riconoscimento della diversità culturale di tipo nazionale ed
etnico, ma anche quelle relative ai temi della differenza di
genere, delle preferenze sessuali e in generale di tutte le
rivendicazioni portate avanti dai cosiddetti nuovi movimenti
sociali a partire dagli anni sessanta. Come ha sostenuto Will
Kymlicka, ciò dipende dai diversi significati che può assumere
il termine culturacostumi e allo stile di
vita di un gruppo, con il termine cultura si può intendere
"l'insieme delle consuetudini, dei punti di vista e dell'ethos di
un gruppo a di un'associazione ("la cultura omosessuale", "la
cultura burocratica").
Se il termine cultura si riferisce invece al modello di
civiltà, allora tutte le democrazie occidentali hanno una
"cultura comune" perché condividono istituzioni sociali,
politiche ed economiche simili.
Se invece, si sceglie una terza accezione utilizzata da
127 W. Kymlicka, la cittadinanza multiculturale, pp. 34-37.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Kymlicka e da noi accolta, intenderemo per cultura: "una
comunità intergenerazionale, più o meno compiuta dal punto di
vista istituzionale, che occupa un determinato territorio e
condivide una lingua e una storia distinte"
sarà allora, quello stato in cui sono presenti o minoranze
nazionali; o minoranze etniche, costituite da immigrati
provenienti da diverse nazioni. Nel primo caso, avremo a che
fare con uno stato multinazionale costituito da gruppi nazionali
culturalmente diversi, che per svariati motivi storici si trovano
a convivere, più o meno volontariamente, sotto uno stesso
ordinamento giuridico. All'interno degli stati multinazionali, le
comunità culturali, meno forti numericamente, politicamente
ed economicamente, costituiscono le "minoranze nazionali."
Nel secondo caso, avremo invece, uno stato polietnico
caratterizzato dalla presenza di vasti gruppi di immigrati che
hanno mantenuto parte della loro specificità etnica.
Ovviamente, possono esistere stati sia multinazionali che
polietnici, come ad esempio, il Canada o gli Stati Uniti.
La distinzione tra stati multinazionali e stati polietnico,
riguarda non soltanto i meccanismi di formazione della
diversità culturale, ma anche la natura delle richieste di
128 Ivi, p. 35.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
riconoscimento avanzate. Come opportunamente, osservato da
Kymlicka, le "minoranze nazionali" interne agli stati
multinazionali, ambiscono alla conservazione della propria
identità di società distinte, rispetto alla cultura maggioritaria e
per questo, richiedono gradazioni varie di autonomia politica,
rispetto allo stato centrale. I gruppi etnici composti da
immigrati, interni agli stati polietnici sono invece, caratterizzati
dalla volontà di integrarsi alle istituzioni della società
d'accoglienza. Per questo motivo non richiedono forme di
autogoverno, ma piuttosto il riconoscimento dell'esistenza di
differenze culturali, da parte delle principali istituzioni della
società ospitante.
La richiesta di riconoscimento delle differenze identitarie è
il tratto centrale del multiculturalismo. Essa è stata considerata
dalla parte più tradizionalista del pensiero politico liberale,
come contraria ai principi dell'universalismo dei diritti e
dell'eguaglianza. Se si vuole assumere una posizione filosofica
che pur rimanendo nell'alveo del liberalismo, riconosca la
legittimità delle richieste del multiculturalismo, è dunque
necessario rivisitare le tradizionali categorie del pensiero
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
5.Critiche alla tradizione politica liberale
La cultura politica liberale, sia nelle sue versioni classiche
sia in quelle contemporanee, ha considerato come destinatari
dei diritti i singoli individui a prescindere dalla razza, dal ceto,
dal sesso e da ogni altro attributo identitario particolare, che
non fosse l'appartenenza al genere umano. Per evitare forme di
discriminazione legate ad appartenenze particolari, la filosofia
politica liberale, ha quindi stabilito che l'attribuzione di diritti
dovesse essere "cieca rispetto alle differenze" e incentrata al
rispetto dell'eguaglianza formale di tutti gli individui. In questa
visione, gli individui e i gruppi hanno il diritto di conservare
ed esprimere la propria identità particolare nella sfera privata, a
patto che questo diritto, non influenzi le decisioni prese nello
spazio pubblico, che deve rimanere sempre neutrale rispetto
alle differenze.
L'azione statale deve dunque, essere antiperfezionista,
cioè escludere, che lo stato si ponga come obbiettivo la
perfezione morale dei suoi cittadini. Secondo i teorici liberali,
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
l'antiperfezionismo avrebbe una duplice funzione: da una
parte, eviterebbe che i disaccordi e i conflitti tra concezioni
diverse del bene, scaturiscano in conflitto politico. Dall'altra,
eviterebbe che alcune convinzioni morali siano favorite
rispetto alle altre.
sarebbero quindi, gli obbiettivi perseguiti dalle società liberali
attraverso la rinuncia ad esprimere giudizi e posizioni morali
La politica liberale della "cecità rispetto alle differenze", è
stata messa in discussione da gruppi sociali minoritari,
variamente caratterizzati (donne, disabili, gruppi etnici
svantaggiati, omosessuali), ma uniti dalle discriminazioni
subite per via della propria diversità. Le critiche dei gruppi
minoritari prendono di mira, l'inefficacia con cui il modello
della neutralità liberale, persegue i principi dell'eguaglianza e
dell'imparzialità nel trattamento delle diverse concezioni del
In riferimento al principio dell'eguaglianza e della non
discriminazione, il principio della neutralità si dimostra
inadeguato, perché pretenderebbe di trattare da eguali, sia i
129 Sul punto vedi: A. E. Galeotti, Multiculturalismo: filosofia politica e conflitto identitario, pp. 19-20. 130 Ibid.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
gruppi minoritari che per via della loro diversità, sono
discriminati ed emarginati dalla vita sociale, sia i membri della
maggioranza culturalmente dominante. Senza riconoscere le
asimmetrie tra gruppi dominanti e gruppi minoritari, gli effetti
del principio della neutralità rispetto alle differenze, sarebbero
due: in primo luogo, quello di non tenere in considerazione che
nella società reale, ruoli e status sociali sono influenzati
dall'appartenenza ad un determinato gruppo, motivo per cui
chi non condivide i tratti culturali del gruppo dominante, viene
escluso dalla partecipazione attiva alle principali istituzioni
societarie. In secondo luogo, la "cecità rispetto alle
differenze", non riconoscendo legittimità pubblica alle culture
minoritarie, riprodurrebbe nel tempo la cultura del gruppo
dell'imparzialità, l'ideale di neutralità viene criticato, perché
non terrebbe conto della distinzione tra differenza e normalità.
Pretendendo di trattare in maniera imparziale tutte le
differenze, il principio della neutralità non si renderebbe conto
che esistono differenze recepite come normali: l'essere
bianchi, maschi, eterosessuali; ed altre come essere
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
omosessuali, donne, di colore, che segnano i loro portatori
come "diversi" rispetto alla normalità. I membri di gruppi
etichettati come "diversi", sarebbero dunque, doppiamente
svantaggiati. Da un lato dovrebbero subire il peso della loro
condizione di "diversi", discriminati ed emarginati nella vita
sociale, dall'altro, vedrebbero negarsi il riconoscimento della
loro identità marginale, all'interno della sfera pubblica. I limiti
del principio della "cecità rispetto alle differenze", risultano
ancora più evidenti in riferimento ai gruppi minoritari
accomunati da tratti etnici o nazionali, oggetto della nostra
trattazione. Come opportunamente notato da Kymlicka
all'interno di uno stato multinazionale o polietnico: "le
decisioni governative circa la lingua, i confini interni, le
festività pubbliche e i simboli statali implicano
necessariamente il riconoscimento, l'accettazione e il sostegno
delle esigenze e delle identità di specifici gruppi etnici e
nazionali".cipio della neutralità
culturale, il mancato riconoscimento dei specifici diritti
identitari delle minoranze culturali, non può dunque, che avere
l'effetto di selezionare determinate identità culturali a discapito
131 W. Kimlicka, La cittadinanza multiculturale, p. 188.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Per trattare in maniera adeguata il problema del
multiculturalismo e del riconoscimento delle differenze è
dunque necessario, rivedere il principio della neutralità liberale
ed elaborare un modello di liberalismo che ammetta la
possibilità di concedere diritti differenziati a seconda
dell'appartenenza di gruppo.
6. Una via liberale al multiculturalismo
La concessione di diritti differenziati in funzione
dell'appartenenza di gruppo, è giustificata da una revisione dei
principi liberali di libertà e di eguaglianza.
In riferimento al principio della libertà individuale,
Kymlicka, ritiene che per realizzarlo pienamente, è necessario
riconoscere l'importanza dell'appartenenza degli individui alla
propria cultura sociale. La vita di ogni individuo si svolge,
infatti, all'interno di quella che egli chiama una cultura
sociale, cioè "una cultura che conferisce ai propri membri
modi di vivere dotati di senso in un ampio spettro di attività
umane, ivi comprese la vita sociale, formativa, religiosa,
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
ricreativa ed economica, nonché la sfera pubblica come quella
privata. Questo tipo di cultura tende ad essere territorialmente
concentrato e a basarsi su una lingua comune".
sociale non è un'idea astratta ma qualcosa che si rigenera
soltanto all'interno di pratiche ed istituzioni comuni, in grado
di costruire un orizzonte di senso prolungato nel tempo. Per
questo motivo, la cultura sociale di un gruppo minoritario, non
può sopravvivere senza le risorse necessarie per il
funzionamento delle proprie istituzioni. Ora, riconoscere il
diritto di accedere alla propria cultura sociale, significa per
Kymlicka, realizzare pienamente la libertà individuale di ogni
individuo. Se per libertà individuale intendiamo infatti, la
possibilità di scegliere tra più alternative, bisogna chiedersi
quale sia lo spazio entro il quale gli individui compiono le loro
scelte. Per Kymlicka, questo spazio è costituito dalle culture
sociali che con il loro "vocabolario comune di tradizioni e
scelte degli individui assumono significato. La dimostrazione
dello stretto legame esistente tra scelta individuale e cultura,
costituisce dunque un'argomentazione di tipo liberale, a favore
132 Ivi, p. 134-135. 133 Ivi, p. 147, Kymlicka ha tratto questa definizione di cultura, da R. Dworkin, Questioni di principio, p. 231.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
della concessione di diritti differenziati in funzione
dell'appartenenza di gruppo.
Per quanto riguarda la revisione del principio di
eguaglianza, abbiamo già visto in precedenza, occupandoci
delle critiche al principio della neutralità liberale, che trattare
da eguali gruppi minoritari discriminati ed emarginati, ha
l'effetto di riprodurre le disuguaglianze nel tempo. Ammesso
dunque, che il modo con cui la tradizione liberale tratta il
problema del multiculturalismo, si basa su un uso fuorviante
del concetto di eguaglianza, bisogna tenere presente che
esistono tre variabili, a cui va incontro ogni discorso
sull'eguaglianzaa variabile, riguarda i beni o gli
oneri da ripartire; la seconda variabile riguarda invece, i
soggetti tra i quali ripartire i beni o gli oneri; infine, la terza
variabile verte sul criterio in base al quale ripartire i beni o gli
oneri. Per far valere l'idea di eguaglianza all'interno di una
società multiculturale, bisognerebbe dunque, riconoscere che:
a) Il bene fondamentale, da distribuire in una società
multiculturale è il riconoscimento pubblico delle identità
collettive dei gruppi minoritari. Questo bene, si concretizza
134 Traggo le variabili da: N. Bobbio, Destra e Sinistra. Ragioni e significato di una distinzione politica, p. 54.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
sotto la forma di diritti differenziati in base all'appartenenza di
gruppo, il cui contenuto definiremo in seguito.
b) I soggetti a cui bisogna ripartire il bene del
riconoscimento pubblico, sono: le minoranze nazionali negli
stati multinazionali e i gruppi etnici composti da immigrati,
all'interno degli stati polietnici;
c) Il criterio con cui viene distribuito il bene del
riconoscimento pubblico, è determinato dalle forme di
esclusione dalla vita pubblica, che colpiscono i gruppi
minoritari la cui identità non viene riconosciuta. Dunque,
l'obbiettivo da raggiungere e quello dell'eguaglianza fra i
gruppi minoritari e quello maggioritario.
Una società multiculturale che vuole realizzare pienamente
i principi della libertà individuale e dell'eguaglianza, dovrebbe
dunque fornire un ampio ventaglio di diritti differenziati in
funzione dell'appartenenza di gruppo per le minoranze
nazionali e per i gruppi etnici. Questi diritti sono: i diritti di
autogoverno, i diritti polietnici e i diritti di rappresentanza
I diritti di autogoverno riguardano quasi esclusivamente le
minoranze nazionali. All'interno degli stati multinazionali, le
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
minoranze li richiedono al fine di salvaguardare lo sviluppo
delle loro culture e dei loro membri. Le forme di autogoverno
da esse richiedibili sono svariate e vanno dall'autonomia
regionale, al federalismo, in cui il potere viene suddiviso fra
l'amministrazione centrale e le entità locali, fino ad arrivare
alle richieste di secessione dallo stato cui appartengono.
A differenza dei diritti di autogoverno richiesti dalle
minoranze nazionali, i diritti polietnici richiesti dai gruppi di
immigrati non servono per costituire una società distinta
rispetto a quella maggioritaria
istituzioni e le leggi della società ospitante al fine di renderle
più indulgenti nei confronti delle differenze culturali".
rivendicazione di diritti polietnici da parte dei gruppi di
immigrati, rappresenta il tentativo di superare il modello
"anglo-conformista" o dell'assimilazione, secondo il quale essi
"avrebbero dovuto abbandonare ogni elemento del loro
retaggio etnico e assimilarsi alle norme e consuetudini culturali
135 Sulle differenze tra nazionalismo minoritario e multiculturalismo d'immigrazione vedi: W. Kymlicka, Teoria e pratica del multiculturalismo d'immigrazione, pp. 128-133. L'autore sottolinea che per conservare o ricostruire la loro cultura societaria, le minoranze nazionali si sono battute per avere potere decisionale in fatto di lingua, istruzione, impiego pubblico e immigrazione. Simili sforzi sono estranei ai gruppi di immigrati che invece, hanno generalmente accettato di integrarsi nella cultura societaria dominante. 136 W. Kymlicka, La cittadinanza multiculturale, p. 22.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
della maggioranza."
di costruire un modello di integrazione culturale
"pluralizzante" che non miri a separare il gruppo minoritario
dalla maggioranza, né ad assimilarlo ad essa, bensì
all'adattamento della società ospitante agli immigrati, e degli
immigrati alla società ospitante. Le rivendicazioni avanzate dai
gruppi etnici sono numerose e di diverso tipo, esse vanno dalla
richiesta di adozione di programmi di affirmative action, di cui
abbiamo già detto sopra, a quella di programmi di istruzione
bilingue per i figli degli immigrati.
I diritti di rappresentanza speciale o di gruppo, consistono
invece, nel riservare un determinato numero di seggi negli
organi legislativi a membri di gruppi svantaggiati o emarginati,
in modo tale che questi possano esprimere le proprie opinioni e
difendere i propri interessi all'interno dei principali organi
rappresentativi.
Abbiamo dunque individuato, tre diversi tipi di diritti
differenziati in funzione del gruppo d'appartenenza,
137 Ivi, p. 56. 138 W. Kymlicka, teoria e pratica del multiculturalismo d'immigrazione pp. 138-150, individua dodici riforme, da attuare per promuovere più eque condizioni per l'integrazione. Tra di esse, quelle più complesse da realizzare, sono le ultime due che implicano un certo grado di indipendenza istituzionale. Queste due riforme prevedono di: a) Fornire determinati servizi agli immigrati adulti nella loro lingua madre[…] b) Offrire programmi d'istruzione bilingue per i figli degli immigrati[…] Secondo Kymlicka, "queste due forme di autonomia istituzionale a breve termine, possono essere considerate come promotrici di una integrazione istituzionale a lungo termine".
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
giustificandoli in base ad un processo di revisione dei principi
liberali di libertà individuale ed eguaglianza. Tuttavia, finora
abbiamo considerato soltanto le relazioni tra il gruppo
minoritario e la maggioranza culturale dominante, e non i
rapporti tra i membri del gruppo minoritario. Si tratta di una
lacuna da colmare, visto che gran parte delle critiche alla
concessione di diritti differenziati, assume come argomento
centrale, il pericolo che i diritti individuali vengano limitati in
nome della solidarietà di gruppo. Su questo quesito, la risposta
di Kymlicka è molto chiara. Essa si basa sulla distinzione tra la
legittimità delle "tutele esterne", riguardanti le rivendicazioni
avanzate dal gruppo minoritario per proteggere la propria
esistenza dagli effetti delle decisioni della società dominante e
l'illegittimità delle "restrizioni interne," ovvero delle
limitazioni apportate alle fondamentali libertà civili e politiche
dei membri del gruppo.
liberale di multiculturalismo, viene dunque sancito per il
membro della cultura minoritaria oppresso dal proprio gruppo
d'appartenenza, il diritto di uscire dalla propria comunità
(diritto d'uscita). Tuttavia, come ha osservato Alessandra
Facchi, il diritto d'uscita rischia di essere "un diritto di carta
139 W. Kymlicka, La Cittadinanza multiculturale, pp. 64-81.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
comportare un costo altissimo per chi lo esercita. Lasciare la
propria cultura sociale e le sicurezze in termini di identità e di
appartenenza che essa assicura e infatti una scelta
estremamente difficile, che non tutti sono in grado di compiere.
Per questo motivo, questa scelta va supportata attraverso
misure politiche adeguate. In concreto, si dovrebbero
concedere i diritti differenziati, soltanto a quei gruppi che
garantiscono ai propri membri l'assenza di "restrizioni interne"
e il diritto d'uscita dal gruppo. In assenza di simili garanzie,
tali diritti dovrebbero essere sospesi e nei casi più gravi
revocati. In secondo luogo, si dovrebbe dar vita a strutture in
grado di dare adeguato sostegno, agli individui che hanno
scelto di uscire dal proprio gruppo di appartenenza, in modo
tale da evitare che la paura di restare isolati, costringa gli
individui a subire trattamenti oppressivi.
7. I confini del concetto di diritti umani.
Abbiamo dunque constatato, l'esistenza di solide ragioni a
140 A. Facchi, I diritti dell'Europa multiculturale, pp. 28-29.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
favore dei diritti differenziati in funzione dell'appartenenza di
gruppo. A questo punto, si tratta di vedere se è possibile
inserire il concetto di diritti differenziati all'interno della
categoria di diritti umani. Le conclusioni a cui arriviamo sono
in parte simili, a quelle che abbiamo avanzato esponendo il
caso dei diritti sociali. Nei casi in cui viene richiesto un
intervento positivo da parte dei poteri pubblici, per mettere in
atto garanzie di concreta attuabilità dei diritti differenziati, è
chiaro, che questi diritti potranno essere assicurati, solo nei
paesi che possono permettersi di attuare politiche di
redistribuzione della ricchezza. Simili diritti differenziati
"positivi", non possono dunque rientrare nella categoria dei
Invece, nei casi in cui le richieste di diritti differenziati
riguardano: "la tolleranza pubblica delle differenze, come gesto
simbolico di accettazione e legittimazione della presenza delle
"negativi", alla non interferenza dello stato e dei privati, essi
possono essere inseriti nella categoria di diritti dell'uomo,
perché non sottoposti a nessun vincolo economico che ne possa
rendere impossibile l'attuazione.
141 A. E. Galeotti, I diritti collettivi p. 38.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
In conclusione, abbiamo visto in questo capitolo, che
accanto a quella che abbiamo definito la prima generazione di
diritti dell'uomo, costituita dai classici diritti di libertà si siano
affiancate richieste di tutela di nuove specie o generazioni di
diritti dell'uomo. Tra queste nuove richieste, abbiamo
considerato i casi dei diritti sociali e dei diritti differenziati in
funzione dell'appartenenza di gruppo. Le conclusioni a cui
siamo arrivati, è che sebbene sia i diritti sociali sia i diritti
differenziati siano diritti indispensabili, per un godimento più
ampio delle libertà umane, essi per essere realizzati hanno
bisogno di livelli di sviluppo economico, riscontrabili soltanto
nella parte ricca del mondo. Dunque, pur auspicando una
redistribuzione delle ricchezze su scala globale che elimini le
attuali diseguaglianze e renda possibile la fruizioni di tali diritti
anche per i paesi poveri, essi non possono essere considerati
diritti umani a tutti gli effetti, ad eccezione di quelli che
abbiamo definito diritti differenziati "negativi". Se infatti,
vogliamo costruire un pacchetto minimo di diritti umani
142 Sarebbe opportuno distinguere tra una teoria ideale dei diritti umani, che si preoccupi di estendere i diritti di prima, seconda e terza generazione a tutti gli esseri umani, attraverso la costruzione di opportune istituzioni internazionali, e una teoria realistica dei diritti umani che si preoccupi di proteggerli e tutelarli a partire dalle condizioni storiche esistenti. Questi due approcci potrebbero essere unificati da quella che J.Rawls, Il diritto dei popoli, p. 15, definisce una filosofia politica realisticamente utopica capace di estendere quelli che di solito sono considerati i limiti delle possibilità politiche praticabili
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
garantire e tutelare in tutto il mondo, non possiamo non
considerare "diritti umani" soltanto quelli che possono essere
realizzati a prescindere dai livelli di sviluppo economico.
Vedremo nel prossimo capitolo, quali sono questi diritti e
quali interventi siano legittimamente pensabili come rimedi
contro le loro violazioni.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Sulla legittimità, degli interventi umanitari
1. Il problema.
Una delle questioni più delicate e incerte da affrontare,
riguarda le misure da intraprendere, nel caso si verifichino
violazioni gravi e sistematiche dei diritti dell'uomo. In casi del
genere, ci si domanda: quali sono, le violazioni veramente
rilevanti? Quali sono, le misure che si possono intraprendere
per far cessare tali violazioni? È legittimo, ricorrere all'uso
della forza come soluzione estrema? E se si, secondo quali
criteri? Come si vede si tratta di quesiti estremamente
controversi, ai quali è impossibile dare risposte definitive e
soddisfacenti. Sulla base di questa consapevolezza, cercheremo
di utilizzare il linguaggio e gli strumenti della filosofia politica,
al fine di fornire degli orientamenti utili, a stimolare una
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
discussione pubblica su questi temi, che sia al riparo da
pregiudizi ed imposizioni. Il capitolo si divide in tre parti: nella
prima ci si interroga su quali siano i criteri, per individuare
delle violazioni veramente rilevanti dei diritti umani. Nella
seconda parte, si analizza la legittimità delle misure (in
particolare l'uso della forza), che si possono intraprendere per
far cessare gravi violazioni dei diritti umani. Infine, nella terza
parte, vengono delineati i criteri di quella che dovrebbe essere
un intervento umanitario giusto.
2. Quali violazioni sono veramente rilevanti.
Essere detentori di un diritto soggettivo significa vedersi
riconosciuti da un ordinamento giuridico, la titolarità di un
interesse ed il connesso potere di far valere e di tutelare
l'interesse stesso nei confronti di altri soggetti. Questo è quello
che succede all'interno degli ordinamenti giuridici nazionali, in
cui esiste un potere sanzionatorio statale che riconosce e
garantisce un diritto soggettivo. Motivo per cui, se un soggetto
subisce una violazione di un proprio diritto fondamentale, il
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
potere statale ha il dovere di intervenire per far cessare la
Nella società internazionale, invece, dal momento che non
esiste uno stato globale, non è possibile attribuire a nessun
agente particolare, l'obbligo di intervenire per fermare una
violazione dei diritti umani ai danni di uno o più soggetti che
non hanno ricevuto protezione adeguata, da parte del proprio
stato d'appartenenza. Tuttavia, il fatto che fino a questo
momento non esista un ordinamento giuridico internazionale
capace di sanzionare il mancato rispetto dei diritti dell'uomo,
non ci esime dal considerare la comunità internazionale nel suo
complesso, moralmente obbligata a far valere e ad
implementare i diritti umani. Prima di analizzare il problema,
delle modalità attraverso le quali sanzionare gravi inosservanze
dei diritti umani, bisogna capire quali violazioni, possano
essere considerate realmente gravi. In proposito, Sebastiano
Maffettone ha distinto tra due diverse ipotesi interpretative:
Secondo una prima ipotesi, di tipo restrittivo soltanto "pochi
valori fondamentali che riguardano la persona diventano diritti
umani".finita estensiva, invece,
"qualsiasi mancanza di rispetto per i valori fondamentali dà
143 S. Maffettone, Etica pubblica, p. 308.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
origine a una violazione dei diritti umani".
Maffettone l'ipotesi da preferire è quella restrittiva, non solo
per ragioni intuitive e prudenziali che ci inducono a
considerare invivibile, un mondo in cui qualsiasi violazione
minima dei diritti umani, sia causa sufficiente di ingerenza
della comunità internazionale. Ma, anche per ragioni più
profonde, che hanno a che fare con il rispetto di quello che nel
secondo capitolo, abbiamo definito il fatto del pluralismo, e
quindi con la necessità che ogni cultura trovi all'interno della
propria tradizione le ragioni per proteggere i diritti umani. Una
visione di tipo restrittivo, è accolta anche da Ignatieff, secondo
cui la tendenza a definire come un diritto umano, tutto ciò che
può essere desiderabile, finisce per erodere la legittimità di un
nucleo difendibile di diritti.
Sia per Ignatieff che per Maffettone, la lista dei diritti
umani da tutelare corrisponde allo spazio occupato da una
concezione classica della "libertà negativa,"
"capacità di ogni individuo di perseguire scopi razionali senza
144 Ibid. 145 M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, p. 92. 146 Come abbiamo già detto in precedenza, la distinzione canonica tra libertà negativa e libertà positiva è stata formulata da I. Berlin, Quattro saggi sulla libertà , pp. 185-241, per libertà negativa s'intende l'area "entro la quale una persona è o dovrebbe essere lasciata fare o essere ciò che è in grado di fare o essere senza interferenze da parte di altre persone".
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
ostacolo o intralcio."
classici diritti alla tutela giuridico-politica della persona, quali
l'habeas corpus, i diritti all'incolumità fisica, le classiche
libertà civili, come la libertà di coscienza e di associazione ed
inoltre il diritto ad avere una ragionevole tutela da parte del
sistema giudiziario. Tra i diritti da garantire, ci sarebbe anche
un diritto alla sussistenza legato all'integrità stessa della
Il tentativo di identificare una lista minima di diritti umani
nell'ambito dello spazio normativo della "libertà negativa," è
stato criticato da Danilo Zolo perché trascurerebbe, "il senso
positivo della parola libertà derivante dall'aspirazione
dell'individuo ad essere padrone di se stesso[…] e dunque di
essere autonomo e capace di progettare la propria vita."
Secondo Zolo, quindi, la lista dei diritti umani da concedere a
ciascun individuo, dovrebbe comprendere non solo i diritti di
libertà ma anche i diritti politici e i diritti sociali, oltre che i
cosiddetti "nuovi diritti" (l'eguaglianza fra i generi, l'ambiente,
i diritti degli stranieri e dei migranti, ecc.)
sue critiche, Zolo osserva che il linguaggio dei diritti va al di là 147 M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, p. 59. 148 S. Maffettone, Etica pubblica, p. 326-327. 149 D. Zolo, Fondamentalismo umanitario, p. 144. 150 Ivi, p. 145.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
della sfera della semplice libertà negativa, e poi cita come
esempi, i diritti contenuti in documenti come Il Patto sui diritti
civili e politici (1966), Il Patto sui diritti economici, sociali e
culturali (1966), la Carta africana sui diritti umani e dei popoli
(1981), la Dichiarazione islamica di Tunisi (1992), la Carta
europea dei diritti fondamentali (2000).
A nostro parere, le critiche di Zolo si fondano su un errore
concettuale che confonde la questione dei diritti umani, con
quella più ampia e complessiva di una teoria della giustizia
globale. Perseguire l'obbiettivo di un nucleo essenziale di
diritti dell'uomo garantito in ogni stato, indipendentemente dal
livello di sviluppo economico, dalla cultura e dalla religione di
ciascun paese, per proteggere ogni essere umano dalle forme di
sofferenza socialmente evitabile che inibiscono la sua capacità
di raggiungere qualsivoglia bene. Non pregiudica affatto la
possibilità di progettare altre componenti di ciò che una teoria
della giustizia globale richiede, sulla base di concezioni più
ampie e ricche di libertà. In altri termini, si possono affrontare
questioni come la redistribuzione del reddito su scala globale o
la protezione dai rischi ambientali, per conseguire quella più
"ricca e intensa partecipazione all'interazione e alla
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
comunicazione sociale
insoddisfacente la scelta di caratterizzare i diritti umani in
chiave di libertà negativa.
Identificato lo spazio delle violazioni rilevanti con l'area
della libertà negativa, bisogna individuare quali sono i rimedi
utilizzabili per far cessare le violazioni dei diritti. Come
suggerisce Maffettone, sarebbe opportuno fare appello ad un
generico criterio di proporzionalità in base al quale, la gravità,
la rilevanza, la durata delle violazioni sono i canoni su cui
misurare i rimedi. In linea generale, si potrebbero distinguere
due tipi di rimedi: il primo basato su tecniche di intervento non
violente da adoperare come pratica standard, il secondo da
usare solo come extrema ratio, basato sull'uso della forza
armata, da parte di uno Stato o di un gruppo di Stati contro un
altro Stato, al fine di proteggerne i cittadini, quando tale Stato
adotta nei loro confronti trattamenti disumani e crudeli,
perpetrando massicce violazioni dei diritti delle persone.
Le tecniche di intervento standard non violente, si possono
dividere in misure da adoperare preventivamente per ridurre le
violazioni e misure reattive, come risposta alle violazioni dei
diritti. Tra le prime si può annoverare la cosiddetta "clausola di
151 Ibid.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
condizionalità". Questo strumento è adoperato dai paesi
democratici e dalle grandi organizzazioni internazionali come
il Fondo Monetario e la Banca mondiale, come mezzo di
pressione, che lega la concessione di aiuti ed agevolazioni
economiche ai paesi in via di sviluppo, alla condizione che essi
si impegnino a migliorare il rispetto dei diritti umani e a
democratizzare le proprie istituzioni. Nel caso in cui i paesi
beneficiari non rispettano i parametri richiesti, essi sono
esclusi dai programmi d'aiuto.
Tra le misure di tipo reattivo, si possono individuare, le
limitazioni o la rottura delle relazioni diplomatiche,
l'isolamento politico nei confronti dello stato violatore, le
restrizioni commerciali e le sanzioni economiche ed in
generale tutte le misure di ritorsione che non prevedono l'uso
della forza armata.
L'altra modalità di intervento utilizzabile per far cessare
gravi violazioni dei diritti umani, è quella fondata sull'uso
152 Sull'efficacia della "clausola di condizionalità, vedi F. Attinà, Il sistema politico globale, p. 213, che ne individua i limiti, nella possibilità che essa sia applicata rigidamente e possa provocare l'interruzione del rapporto con il governo ricevente, nelle difficoltà connesse alla valutazione delle politiche governative richieste. Tuttavia nonostante i limiti evidenziati, nel complesso, Attinà giudica positivamente l'adozione di tale clausola. L. Bonanate, Democrazia tra le nazioni, pp. 167-168, osserva che "La clausola di condizionalità secondo una ricerca empirica compiuta sull'argomento, avrebbe avuto successo solo in tredici dei ventinove casi di paesi poveri aiutati da quelli ricchi. Secondo la ricerca riportata da Bonanate, i risultati modesti sarebbero addebitabili alla tendenza dei paesi donatori, nel piegare le esigenze della beneficenza a quelle della loro politica estera.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
della forza armata. Essa fu oggetto di un animato e articolato
dibattito che coinvolse l'intera opinione pubblica mondiale, in
occasione della guerra del Kosovo, durante la quale
l'intervento militare delle truppe NATO, venne giustificato con
la necessita di fermare le operazioni di pulizia etnica compiute
dalla Serbia di Milosevic. Nel prossimo paragrafo, torneremo
su quel dibattito e cercheremo di esprimere le nostre
valutazioni sul controverso concetto di guerra umanitaria.
3. La guerra umanitaria. Un caso di guerra giusta?
La dottrina della guerra giusta riguarda il problema della
giustificazione o ingiustificazione della guerra. Le guerre
vengono ritenute giuste, se esse vengono giudicate mezzi
necessari al raggiungimento di un fine altamente desiderabile,
che solitamente viene identificato con il ristabilimento del
diritto in precedenza violato
affonda le sue radiciedievali del pensiero
filosofico cristiano, come S. Agostino che fu il primo a
153 N. Bobbio, Teoria generale della politica, p. 521. 154 Sull'evoluzione storico-giuridica del concetto di guerra giusta, vedi: A. Calore, "guerra giusta tra passato e presente", pp. VII-XV.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
superare il pacifismo assoluto delle prime comunità cristiane e
a ritenere giuste le guerre ispirate da Dio, e in Tommaso
d'Aquino che nel 1300 richiamandosi all'autorità di Agostino
fisso in tre le condizioni per il bellum iustum: 1) l'auctoritas
principis. La guerra doveva essere dichiarata dall'autorità
legale. 2) La iusta causa. La guerra doveva essere dettata da
giusta causa. 3) La recta intentio. La guerra doveva perseguire
il bene contro il male. Una quarta condizione, introdotta nella
dottrina sarà quella della necessità, ovvero dell'impossibilità di
farsi giustizia con altri mezzi
In età moderna il concetto venne ripreso da Ugo Grozio
che lo svincolò dal vecchio apparato concettuale scolastico,
affermando nella sua opera De jure belli ac pacis che: "giusto
e cioè giuridicamente fondato doveva apparire ogni atto bellico
intrapreso da due Stati sovrani, senza che nessuna terza
potenza potesse intervenire a giudicare, o peggio a punire con
la forza delle armi il comportamenti dei due contendenti."
Come ha evidenziato Bobbio, la teoria del bellum iustum fu
messa in crisi con l'affermarsi del metodo del giuspositivismo
anche nel diritto internazionale che, "considerando come
155 Sul punto si veda U. Gori, voce "Guerra"pp. 476-481, in, Dizionario di politica. 156 Traggo la citazione dell'opera di Grozio, da: E. Di Rienzo, Guerra civile e guerra giusta nel XVIII secolo, p. 376.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
diritto solo l'insieme delle regole effettivamente osservate
dagli stati, ha dovuto ammettere come giuridicamente
irrilevante la distinzione tra guerre giuste e guerre ingiuste e
considerare la guerra, in quanto espressione della volontà di
uno stato sovrano come una procedura lecita".
della guerra giusta, è stata ripresa in anni recenti da autori
li criteri della teoria,
hanno aggiunto la legittimità in casi estremi ed eccezionali
dell'uso della forza a difesa dei diritti umani.
Dunque, la cosiddetta guerra umanitaria sarebbe un caso di
"guerra giusta". Ma è proprio così? Oppure prima di dare una
risposta definitiva, è quantomeno opportuno affrontare alcune
questioni controverse? Sospendiamo, quindi il giudizio, è
cerchiamo di analizzare i lati oscuri del problema.
4. I lati oscuri della guerra umanitaria.
157 N. Bobbio, Teoria generale della politica, p. 523. 158 La ripresa della teoria della "guerra giusta" si deve soprattutto a M. Walzer, Guerre giuste e ingiuste. 159 Sul punto si veda, J. Rawls, Il diritto dei popoli, p. 125 "se i crimini contro i diritti umani sono di rilievo eccezionale e la società resta insensibile all'imposizione di sanzioni, un intervento di forza a difesa dei diritti umani risulterebbe accettabile e sarebbe all'ordine del giorno", e M. Walzer, Sulla guerra, p. 69, "A volte ciò che succede in un certo luogo non può essere tollerato, Da qui nasce la pratica dell' "intervento umanitario" assai abusata, senz'altro, ma moralmente necessaria quando la crudeltà e le sofferenze sono estreme e non sembra che ci siano forze locali in grado di mettervi fine".
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
La prima questione da affrontare, riguarda la mancanza di
norme internazionali legittimanti l'intervento umanitario. In
questa sede, non tenteremo una ricostruzione giuridica del
tema, perché ciò trascende le nostre competenze e non rientra
negli obiettivi del nostro lavoro. Tuttavia, è importante
sottolineare alcuni aspetti giuridici, per fare alcune
considerazioni utili alla nostra trattazione.
Con l'entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite nel
1945, è stata abolita definitivamente la libertà di muover
guerra di cui godevano gli Stati fino agli inizi del XX secolo
L'unica eccezione di rilievo, alla proibizione generale dell'uso
della forza nelle relazioni internazionali fu il diritto alla
legittima difesa previsto dall'art. 51 della Carta delle Nazioni
Unite. Sulla base del principio dell'astensione dalla minaccia o
dall'uso della forza nelle relazioni internazionali, spetta al
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la responsabilità
per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale
e la competenza esclusiva per l'adozione di misure anche
coercitive, che ai sensi dell'art. 39 possono essere intraprese
nei casi in cui esista una violazione della pace, una minaccia 160 Con l'abolizione del diritto di muovere guerra, si parla della nascita dello ius contra bellum che considera illecita ogni e qualsiasi forma di guerra che non sia quella iniziata nel quadro dei meccanismi di tutela collettiva o quella, ammessa a titolo provvisorio, di legittima difesa. Sul punto U. Gori, Guerra, p. 480.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
della pace o un atto di aggressione. Nella realtà, il principio
della proibizione della forza è stato spesso infranto, mentre le
competenze del Consiglio di Sicurezza sono rimaste lettera
morta per i veti reciproci delle superpotenze, tuttavia, è
innegabile ammettere, che la Carta delle Nazioni Unite, è stata
un importante quadro di riferimento legale, per le relazioni
internazionali tra gli Stati.
Sulla base di questa cornice legale, l'emergenza umanitaria
non è un motivo sufficiente per un intervento del Consiglio di
Sicurezza ai sensi dell'art. 39, a meno che la medesima non
costituisca una minaccia della pace. Inoltre è da ritenersi
illecito sul piano del diritto internazionale, ogni ricorso all'uso
della forza per la tutela dei diritti umani, compiuto da uno
Stato o da un gruppo di Stati contro un altro Stato. Come ha
osservato Habermas, privo di una legittimazione giuridica,
l'intervento umanitario si può basare solo su giustificazioni di
carattere morale e dunque essere sottoposto alle critiche di chi
come Carl Schimitt, sostiene che se un soggetto storico intende
imporre ad altri soggetti o popoli determinati valori in nome
dell'umanità, "la sua non è una guerra per l'umanità, ma una
guerra per la quale una determinata forza cerca di impadronirsi,
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
contro il suo avversario, di un concetto universale per potersi
identificare con esso a spese del suo nemico[…] "Umanità è
[infatti] strumento idoneo alle espansioni imperialistiche".
Per superare l'accusa di voler moralizzare la politica e ottenere
la stabilizzazione di uno Status di cittadinanza universale, in
cui le violazioni contro i diritti umani non vengano condannate
e giudicate da un punto di vista morale, occorrerebbe
procedere come suggerisce Habermas, ad una "giuridificazione
complessiva dei rapporti internazionali e all'elaborazione di
procedure consolidate di soluzione dei conflitti."
termini, quello che ci sembra importante sottolineare è che
l'intervento umanitario sostenuto da ragioni morali ma
contrario al diritto internazionale è nella situazione attuale di
"sottoistituzionalizzazione del diritto universale,"
alternativa attuabile per fermare violazioni gravi e sistematiche
dei diritti umani. Tuttavia, per evitare che la politica dei diritti
umani, resti ancorata esclusivamente ad un discorso di tipo
morale, sempre strumentalizzabile in nome di interessi
geopolitici, sarebbe necessario ancorarla ad "un ordine
161 C. Schmitt, le categorie del "politico", p. 139. Per una critica ad Habermas a partire dal pensiero di Schmitt, E. Castrucci, Retorica dell'universale una critica ad Habermas, pp. 121-138. 162 J. Habermas, Umanità e bestialità, una guerra ai confini tra diritto e morale 163 Ibid.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
giuridico democratico su scala mondiale."
è che senza una istituzionalizzazione dei diritti umani su scala
globale, essi diventino strumenti morali a sostegno di un
progetto mondiale consapevolmente unilaterale, che ne
persegua l'esportazione militare.
La seconda questione controversa riguarda il concetto
stesso di guerra. Oggi, quelle che il diritto internazionale
definisce gross human rights violations, cioè a dire violazioni
gravi e generalizzate dei diritti umani come l'apartheid, il
genocidio, la tortura, le esecuzioni di massa, i trattamenti
disumani e degradanti e simili,
Mary Kaldor ha definito le "nuove guerre."prendere la
dinamica e la natura della nuove forme di violenza organizzata,
è dunque un operazione essenziale per capire se le modalità
attraverso le quali fino ad oggi si è fatto ricorso all'uso della
forza, sono veramente in grado di raggiungere l'obbiettivo del
rispetto dei diritti umani.
Come ha sostenuto Kaldor, quella che noi concepiamo
come guerra, e che i leader politici e militari definiscono tale, è
un fenomeno storico specifico che ha preso forma in Europa
164 Ibid. 165 Sul punto, B. Conforti, Diritto Internazionale, p. 241. 166 M. Kaldor, Le nuove guerre. p. 11.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
tra il quindicesimo e diciottesimo secolo
concetto di guerra ha attraversato diverse fasi, dalle guerre
rivoluzionarie del diciannovesimo secolo, fino alla guerra
fredda della seconda metà del novecento, passando dalle guerre
totali del primo novecento. Nonostante ciò, per tutta la durata
del periodo sopra considerato, la guerra è rimasta: "l'attività di
uno stato moderno centralizzato, razionalizzato,
detentore del monopolio della coercizione fisica legittima i cui
elementi caratteristici sono: a) la distinzione tra pubblico e
privato, tra la sfera di attività dello stato e quella non statale; b)
la distinzione tra interno ed esterno, tra ciò che accade
all'interno del territorio statale e ciò che accade all'esterno; c)
La distinzione tra economia e politica e quindi la separazione
dell'attività economica privata, dalle attività pubbliche dello
stato; d) La distinzione tra civile e militare e tra combattenti e
non combattenti o i criminali.
Dall'erosione del modello statale tradizionale, tipica di
molti stati dell'est post-comunista (stati balcanici, Afghanistan,
stati caucasici), o dall'incapacità di molti stati africani di
167 M. Kaldor, Le nuove guerre, p. 25. 168 Ibid. 169 Ivi, p. 31.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
conoscere una sovranità statale nel senso moderno, hanno
origine le cosiddette "nuove guerre", caratterizzate dalla
perdita di controllo e dalla frammentazione degli strumenti di
coercizione fisica. Le caratteristiche principali dei nuovi
conflitti sono: 1) l'utilizzo della "politica dell'identità" come
elemento intrinseco, definitivo e permanente, da parte di quei
movimenti che muovono dall'identità etnica, razziale e
religiosa, per rivendicare a sé il potere statale.
2) L'utilizzo di nuove tecniche di combattimento,
tendono ad evitare le battaglie e a penetrare nel territorio
attraverso il controllo politico della popolazione. Tale
obbiettivo, viene realizzato attraverso l'eliminazione
sistematica di chiunque abbia una diversa identità, con mezzi
come: l'assassinio sistematico, la pulizia etnica, le deportazioni
forzate. Quanto detto è confermato dalle statistiche, secondo le
quali l'80% delle vittime delle nuove guerre sono civili, di
contro ad un 50% di civili morti durante la seconda guerra
mondiale e un 10% durante la prima guerra mondiale
170 Ivi, p. 90. 171 Un altro elemento da tenere in considerazione, è che nelle nuove guerre salta la distinzione rigida delle vecchie guerre tra combattenti e non combattenti. Le unità che combattono le nuove guerre comprendono un'ampia tipologia di gruppi che vanno dalle unità paramilitari ai signori locali della guerra, dalle bande criminali alle forze di polizia, dai gruppi mercenari a unità fuoriuscite da eserciti regolari. Ivi, p. 18. 172 Ivi, 117.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
3) La nascita di una nuova economia di guerra
"globalizzata", come fonte di finanziamento dei gruppi
combattenti. Questo tipo di economia, oltre all'utilizzo di
forme tradizionali di finanziamento come il saccheggio, la
rapina, l'estorsione, si affianca alle economie di pace e da
queste trae le risorse per proseguire la guerra.
le economie di guerra globalizzata traggono profitto
dall'esterno, attraverso: l'invio di fondi da parte dei propri
cittadini residenti all'estero, la tassazione e lo sfruttamento
dell'assistenza umanitaria e soprattutto per mezzo di attività
criminali che vanno dal traffico di droga, allo sfruttamento
della prostituzione, al commercio di armi e di beni pregiati
come petrolio e diamanti.
Le nuove guerre, come si è detto rappresentano la fonte
principale di violazioni dei diritti umani e dunque di
conseguenza, la causa della quasi totalità degli interventi
umanitari. I risultati ottenuti sino ad oggi, dagli interventi
umanitari sono però discutibili, sia nei casi in cui essi sono
stati condotti sotto la guida delle Nazioni Unite, sia quando
sono stati portati avanti al di fuori dell'ombrello ONU, come in
Kosovo. Il limite più importante degli interventi umanitari è
173 Ivi, pp. 118-122, ed inoltre H. Munkler, Politica e guerra, pp. 446-448.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
stata l'incapacità di capire le dinamiche e la logica delle nuove
guerre e di elaborare risposte adeguate ai problemi posti da
esse. Gli errori più frequenti riguardano sia la fase diplomatica,
sia quella propriamente militare, sia la delicata ed essenziale
fase della ricostruzione dopo l'intervento.
Per quanto concerne la fase diplomatica, la strategia più
seguita dalla comunità internazionale è stata quella di ricercare
una soluzione negoziata tra i belligeranti.
però rappresentato diversi inconvenienti. Innanzitutto perché
ha elevato il profilo delle parti in guerra, conferendo
legittimazione a personaggi che spesso erano criminali. In
secondo luogo, spesso è stata sopravvalutata la capacità delle
parti in guerra nell'imporre il rispetto di eventuali accordi. In
molti casi, infatti, l'autorità dei signori della guerra essendo
basata sul terrore e la paura, prospera in guerra ma viene meno
in tempi di pace.
raggiunti, se i negoziati si svolgessero in un contesto in cui la
comunità internazionale incoraggiasse e sostenesse formazioni
politiche alternative, vicine alla società civile, e maggiormente
in grado di traghettare la situazione verso la normalità. Come
174 M. Kaldor, Le nuove guerre, p. 135. 175 Ivi, p. 136.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
scrive Kaldor, queste forze esistono e seppure messe a rischio
dallo stato di guerra, la loro predisposizione al negoziato e alla
risoluzione pacifica dei conflitti fa diminuire il potere delle
parti belligeranti
Anche la fase propriamente militare degli interventi
militari, ha evidenziato diversi limiti, derivanti dall'incapacità
di capire la natura dei compiti che le nuove guerre richiedono
di eseguire. Il modus operandi degli interventi umanitari, ha
spesso previsto l'utilizzo dei bombardamenti aerei nei
confronti degli attaccati. L'esempio tipico, è stato l'attacco
aereo delle truppe NATO, compiuto ai danni della Serbia,
durante la guerra in Kosovo. L'utilizzo delle forze aeree oltre a
ragioni di carattere strategico, risponderebbe alla necessità di
minimizzare i rischi per la vita dei propri soldati. Un'esigenza
sempre più pressante, di fronte all'impopolarità crescente della
guerra, presso l'opinione pubblica occidentale.
Tuttavia, se lo scopo degli interventi umanitari deve essere
quello di minimizzare il numero delle vittime delle violazioni
176 Ivi, p 138, Kaldor, scrive dell'esistenza di gruppi della società civile aperti al dialogo, in quasi tutti i principali contesti di guerra, Somalia, Bosnia, Ruanda. L'indifferenza della diplomazia e della politica occidentale nei confronti delle società civili locali è testimoniato seppure in un contesto differente da quello degli interventi umanitari da M. Juergensmeyer, Rapporto Baghdad, p. 23, che annovera l'incapacità di coinvolgere la società civile locale, tra i motivi del difficile dopo-guerra irakeno.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
dei diritti umani, non si può non rilevare l'inefficacia
senso degli attacchi aerei, come dimostra il caso del Kosovo. È
infatti assodato, che il piano serbo di pulizia etnica ai danni
della popolazione kosovara, sebbene fosse stato elaborato
prima dei bombardamenti aerei, sia stato una risposta alla
campagna aerea NATO.
sarebbe dunque stato necessario, l'impiego di truppe di terra,
che però a causa dei rischi politico-militari ad esso connessi,
ebbe luogo soltanto dopo il ritiro dell'armata federale
Jugoslava dal Kosovo, a massacro ormai avvenuto.
Tuttavia, anche un eventuale impiego delle truppe di terra,
deve essere calibrato alla realtà delle "nuove guerre." In questo
contesto, quello che si richiede alle truppe internazionali, è la
ricostruzione graduale di un contesto di legittimità e di fiducia
nelle istituzioni. Motivo per cui, i compiti che essi dovrebbero
177 Kaldor, mette in dubbio anche l'efficacia militare degli attacchi aerei. Infatti, secondo il suo giudizio i fattori decisivi della resa serba sono stati, la fine del sostegno della Russia e la minaccia di un invasione terrestre, Ivi, p. 182. 178 Sul punto, M. Walzer, Sulla guerra, p. 97, H. Munkler, Politica e guerra, p. 450, M. Kaldor, Le nuove guerre, p. 174. 179 M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, p. 51, parla di un allontanamento forzato di 800.000 cittadini Kosovari in Albania e in Macedonia, seguito dal massacro di 10000 di coloro che restarono. Sulla necessità di inviare truppe di terra, insisteva M. Walzer, Sulla Guerra, p. 97- 98, "I soldati con i fucili, che perlustrano interi villaggi casa per casa non possono essere fermati da bombe intelligenti: possono essere fermati soltanto da altri soldati armati di fucile"[…] e ancora: "Persino con una giusta causa e con le migliori intenzioni, come possiamo usare la forza militare nel paese di qualcun altro se non siamo disposti ad avere a che fare con le conseguenze impreviste delle nostre azioni? Suppongo che se fossimo stati visibilmente pronti a febbraio e a marzo a entrare in Kosovo via terra, la pulizia etnica su larga scala avrebbe subito una battuta d'arresto".
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
svolgere si collocano a metà strada tra un azione militare e una
L'ultimo, ma non meno essenziale aspetto da considerare, è
quello della ricostruzione dopo l'intervento umanitario. Spesso
la fase della ricostruzione è stata condotta attraverso un mix di
politiche eterogenee, comprendenti da un lato, una rapida
transizione al mercato e alla democrazia da realizzarsi per
mezzo di liberalizzazioni, privatizzazioni, e l'organizzazione di
elezioni, dall'altro aiuti umanitari a pioggia. I risultati ottenuti
sono stati nella gran parte dei casi deludenti, perché le politiche
economiche rigidamente neo-liberiste hanno favorito gli
investitori stranieri su quelli locali, mentre l'assistenza
umanitaria sostituendosi alla produzione locale, ha contribuito
all'indebolimento dell'economia formale.
organizzare elezioni senza aver ricostruito uno spazio pubblico
relativamente libero, può avere effetti opposti a quelli
auspicati, rischiando di favorire i gruppi politici più
180 M. Kaldor, Le nuove guerre, p. 141-142, sostiene che tra i primi rientrano compiti tradizionali come la separazione dei belligeranti, il mantenimento del cessate il fuoco, e il controllo degli spazi aerei e compiti nuovi come la protezione delle zone di sicurezza o dei corridoi umanitari. Tra i secondi rientrano compiti come la cattura dei criminali di guerra, e il mantenimento dell'ordine e della sicurezza. 181 Secondo Kaldor, gli inconvenienti nella ricostruzione sono dovuti al mancato coordinamento tra Nazioni Unite da un lato e Fondo monetario e Banca mondiale dall'altro, Ivi, p. 147-148.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
estremistizione giusto ed efficace
dovrebbe invece: a) puntare al ristabilimento di autorità
politiche legittime che impediscano il ripetersi delle condizioni
che hanno portato alla guerra, attraverso la garanzia del
rispetto della legge e della sicurezza pubblica
che, imporre modelli estranei al tessuto civile locale, dovrebbe
appoggiarsi alla società civile locale e a specialisti del luogo
per la ricostruzione degli apparati amministrativi ed
economici; c) impedire alle strutture mafiose, che si sono
formate e ampliate nel corso della guerra, il dominio della
essenziali e riattivare le principali infrastrutture (acqua,
energia, trasporti, posta e telecomunicazioni), affidandone, nei
limiti del possibile, la ricostruzione ad imprese locali.
Abbiamo cercato di esaminare, i diversi lati oscuri presenti
nella conduzione degli interventi umanitari. Oltre alla parte
critica dell'analisi, abbiamo cercato di individuare le linee
182 Sul punto, D. Grassi, La globalizzazione della democrazia, p. 12, "La presenza di istituzioni elettorali non è spesso sufficiente ad impedire la sopravvivenza del vecchio autoritarismo, o la sua rinascita sotto nuove spoglie. Per rafforzarsi, la democrazia richiede una serie ulteriore di condizioni, tra le quali un autentico miglioramento della situazione economica e sociale, una migliore diffusione della ricchezza nella società, che favorisca la propensione al compromesso, una differenziazione sociale che non penalizzi le classi medie e produttive e un aumento dei livelli di istruzione, con la diffusione di valori di fiducia interpersonale, soddisfazione esistenziale e competenza". 183 M. Kaldor, Le nuove guerre, p. 150-151 184 H. Munkler, Politica e guerra, p. 447.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
guida di un modello alternativo di conduzione degli interventi
umanitari. Nel prossimo paragrafo, cercheremo di recuperare
queste indicazioni, per sviluppare una teoria dell'intervento
umanitario giusto.
5. Una teoria dell'intervento umanitario giusto.
L' intervento umanitario non può essere giustificata in
nome della democrazia, della libertà d'impresa, della giustizia
economica, o di qualsiasi idea del bene o modello sociale che
pretendiamo di esportare militarmente per altri paesi. Il
modello che intendiamo proporre, ritiene che la guerra sia in
ogni caso un male, che può essere giustificata solo in quanto
riduce un male superiore. Per questo motivo, è opportuno
individuare limiti e regole di condotta a cui un intervento
umanitario giusto dovrebbe conformarsi.
Un intervento umanitario gusto, dovrebbe rispettare i due
principi morali della dottrina classica della guerra giusta: lo ius
ad bellum, cioè le regole che stabiliscono quando il ricorso alla
forza delle armi è moralmente giustificato; e lo ius in bello che
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
invece riguarda la legge della condotta in guerra, cioè le regole
che governano l'impiego giustificabile delle forze armate in
combattimento. Oltre ai due principi tradizionali, esso
dovrebbe rispettarne un altro, dato da quello che Walzer
definisce ius post bellum
riguarda la fase della pacificazione e della ricostruzione dopo
Per quanto riguarda il principio dello ius ad bellum,
abbiamo già detto,
nome di interessi particolaristici di potenza, sarebbe opportuno
istituzionalizzare i diritti umani ancorandoli alla forza del
diritto.ancanza di una simile condizione
all'interno dell'attuale sistema politico internazionale e
rifiutando la posizione di chi ritiene inammissibile l'intervento
militare anche quando si tratta di contrastare attivamente
l'uccisione di innocenti, l'unica strada da seguire resta quella
di individuare i criteri che possano dare giustificazione morale
agli interventi umanitari.
185 M. Walzer, Sulla guerra, p. XV. 186 Vedi sopra IV. 4. 187 In tal senso è interessante la proposta avanzata da A. Ferrara, Fondare senza fondamentalizzare i diritti umani: il ruolo di una Seconda Dichiarazione, di formulare una Seconda Dichiarazione Universale dei diritti umani, che identifichi "quei pochissimi diritti genuinamente fondamentali, formulati in un linguaggio neutrale rispetto alla diversità delle culture, rispetto ai quali la comunità degli stati del mondo si impegna a limitare la sovranità degli stati nazionali".
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Il primo criterio richiede che vi sia l'evidenza di gravi e
massicce violazioni dei diritti dell'uomo (genocidio, esecuzioni
di massa, pulizia etnica, schiavitù), all'interno del contesto in
cui si usa la forza. Tali crimini devono generare un contesto, in
cui sia necessario un intervento urgente e immediata, al fine di
evitare il peggioramento della situazione.
In base al secondo criterio, l'intervento dovrebbe avvenire
con l'avallo dell'autorità competente nell'ambito del diritto
internazionale cioè le Nazioni Unite. Tuttavia, in assenza di
tale requisito, o per mancanza di accordo tra i membri del
Consiglio di Sicurezza, o per l'esercizio del potere di veto di
uno o più membri del Consiglio, si potrebbe legittimare
ugualmente l'intervento a patto che esso avvenga con il
consenso dei paesi vicini e della comunità internazionale.
Tale consenso potrebbe essere rilevato, tenendo in
considerazione le posizioni espresse: dagli stati in seno
all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, da istituzioni
come la Corte Internazionale di Giustizia e dalle principali
organizzazioni regionali (UE, MERCOSUR, ASEAN,
188 È chiaro, che anche le argomentazioni contrarie non dovrebbero rispondere a interessi particolaristici di potenza.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
ECOWAS, NAFTA, SADC).
Infine, in base ad un terzo criterio, l'intervento armato
dovrebbe essere l'extrema ratio, da utilizzare quando il ricorso
a tutti gli altri strumenti, sia di tipo economico (sanzioni
economiche, restrizioni commerciali, etc.) sia di tipo
diplomatico, (negoziati che come abbiamo sostenuto in IV, 4,
coinvolgano anche le formazioni politiche alternative, rispetto
a quelle dei signori della guerra) fallisce.
In base al criterio cardine del principio dello ius in bello,
l'utilizzo dei mezzi militari, dovrebbe essere proporzionale
rispetto ai fini moralmente legittimi che si intende perseguire.
Ora come abbiamo già chiarito in IV, 4, l'obiettivo principale
di un intervento umanitario è quello di minimizzare le
violazioni dei diritti umani. Questo comporta la responsabilità
di fare tutto quello che è necessario,
violazioni, anche se ciò comporta dei rischi per i soldati della
189 Il MERCOSUR (Mercado comùn del Sur) include Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, con l'associazione di Bolivia e Cile). L'ASEAN (Association of South-East Asian Nations) include Indonesia, Filippine, Tailandia, Malesia, Singapore, Vietnam, Cambogia, Laos, Brunei, Birmania. L'ECOWAS (Economic Community of West African States) include 16 paesi dell' Africa occidentale. La NAFTA ( North American Free Trade Agreement) include USA, Canada e Messico. La SADC (South African Development Coordination Conference) include 14 stati dell' Africa Meridionale. Il regionalismo, cioè l'aggregazione economica, commerciale, sociale e politica tra stati confinanti è un fenomeno sempre più in crescita nell'ambito delle relazioni internazionali. Sulla possibilità che le organizzazioni regionali divengano attori di primo piano della governance regionale e anche globale vedi. M. Telò, L'Europa potenza civile, pp. 87-120. 190 Rimando, alla discussione sui comportamenti da tenere, svolta in IV, 4.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
forza interveniente.
Il secondo criterio tradizionale dello ius in bello, è quello
che richiede di discriminare rigorosamente tra combattenti e
non combattenti. In particolare si dovrebbero distinguere tre
gruppi: i leader, i funzionari, i semplici soldati e la popolazione
civile. I primi due, da ritenersi responsabili da punire perché
hanno voluto la guerra, la popolazione civile da ritenere
innocente e da salvaguardare dagli attacchi e i soldati da
considerare non responsabili e da attaccare soltanto se c'è la
necessità di farlo.zione, che era adatta
per disciplinare l'uso della forza nel contesto delle vecchie
guerre, e inadeguata nell'ambito delle "nuove guerre", dove la
distinzione tra combattenti e non combattenti è più difficile da
farsi. Che fare allora, per distinguere tra vittime e carnefici
delle nuove guerre? Innanzitutto, evitare l'uso massiccio di
bombardamenti, che troppo spesso causano quelli che con un
ipocrita eufemismo vengono definiti "danni collaterali". In
secondo luogo, se l'obiettivo è quello di salvare il maggior
numero di vite umane possibili, si dovrebbe puntare alla
creazione di aree di sicurezza, dove i civili vengano protetti e i
criminali di guerra catturati, di corridoi umanitari che
191 Sul punto, J. Rawls, Il diritto dei popoli, p. 126-128.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
consentano i soccorsi alla popolazione e allo svolgimento di
tutti quei compiti,età strada tra compiti militari e compiti
di polizia, necessari alla salvaguardia della popolazione civile.
Il terzo principio da rispettare è quello dello ius post
bellum, si tratta di un principio nuovo rispetto a quelli
tradizionali, connaturato alla natura stessa degli interventi
umanitari. Come fa notare Walzer, l'intervento umanitario è
"fin dall'inizio uno sforzo per cambiare i regime responsabile
assetti politici ed economici del paese in cui si è intervenuti,
deve essere tale da impedire il ripetersi delle condizioni che
hanno dato origine alla guerra. Le finalità che deve avere un
processo di ricostruzione sono state già descritte in IV,4, e per
questo non ci ritorniamo. L'unica cosa che dobbiamo
aggiungere, è che la fase della ricostruzione richiede tempi
lunghi, spesso non quantificabili. Per questo motivo, occorre
che il sostegno della comunità internazionale rimanga
immutato anche quando sul paese in cui si è intervenuti si
spengono i riflettori del circuito dei media e dell'opinione
pubblica internazionale.
192 M. Kaldor, Le nuove guerre, p. 141. 193 M. Walzer, Sulla guerra, p. 21.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Come ha osservato Rawls, viviamo in un mondo dalle
condizioni decisamente non ideali, segnato da grandi
ingiustizie e dalla presenza di gravi mali sociali.
contesto del genere, talvolta la guerra è il male minore, l'unica
strada possibile per impedire un male maggiore, derivante da
ingiustizia e oppressione compiuta contro chi è più debole. Se,
però, si accetta che in situazioni eccezionali il male minore
possa essere giustificato, occorre individuare limiti e regole,
che impediscano, che per sconfiggere un male se ne faccia uno
ancora maggiore. Del resto, in assenza di una federazione di
pace (foedus pacificum)etta per
sempre fine a tutte le guerre e realizzi la pace perpetua, la
ricerca di vincoli e regole di condotta che limitino
rigorosamente le azioni di guerra ammissibili è l'unica strada
194 J. Rawls, Il diritto dei popoli, p. 120 195 I. Kant, Per la pace perpetua, p. 62.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Ainis, Michele, I soggetti deboli nella giurisprudenza costituzionale,
in "Politica del diritto" 30:1 (1999). pp. 25-51.
Alexy, Robert, La teoria delle libertà fondamentali di John Rawls
trad. di A. Castelli e F. Sciacca, in Sciacca, Fabrizio (a cura di),
Libertà fondamentali in John Rawls, presentazione di S. Veca,
Giuffrè, Milano 2002, pp. 1-36.
an-Naim, Ahmed, Abdullahi, , Il conflitto tra la shari'a e i
moderni diritti dell'uomo, in Pacini, Andrea, (a cura di), L'Islam
e il dibattito sui diritti dell'uomo, Fondazione Agnelli, Torino,
1998, pp. 103-120.
Attinà, Fulvio, Il sistema politico globale, Laterza, Roma-Bari, 1999.
Berlin, Isaiah, Quattro saggi sulla libertà, trad. e cura di M.
Santambrogio, Feltrinelli, Milano, 1989.
Berlin, Isaiah, Sulla ricerca dell'ideale, in AA.VV. La dimensione
etica nelle società contemporanee, Fondazione Agnelli, Torino,
1990, pp. 3-19.
Bobbio, Norberto, L'età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Bobbio, Norberto, Destra e Sinistra. Ragioni e significati di una
distinzione politica. Donzelli, Roma, 1999.
Bobbio, Norberto, Teoria generale della politica, a cura di Bovero,
Michelangelo, Einaudi, Torino, 1999.
Bonanate, Luigi, Democrazia tra le nazioni, Bruno Mondatori,
Botiveau, Bernard, Il diritti dello stato nazione e lo status dei non
Musulmani in Egitto e in Siria. In A. Pacini, (a cura di),
Comunità cristiane nell'Islam Arabo. La sfida del futuro,
Fondazione Agnelli, Torino, 1996, pp. 121-138.
Boudon, Raymond, Pluralità culturale e relativismo, in Caniglia,
Enrico - Spreafico, Andrea, (a cura di), Multiculturalismo o
Comunitarismo? Luiss University Press, Roma, 2003, pp. 49-
Briggs, Asa, Le origini del welfare state, in Perugi, Giampaolo,
(a cura di), Pagine di storiografia, Zaninchelli, Bologna, 1998,
Calore, Antonello, "Guerra giusta" tra presente e passato, in Calore,
Antonello (a cura di), Guerra Giusta? La metamorfosi di un
concetto politico, Giuffrè, Milano, 2003, pp. VII-XV.
Caretti, Paolo, I diritti fondamentali: libertà e diritti sociali,
Giappichelli, Torino, 2002.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Castrucci, Emanuele, Retorica dell'universale. Una critica ad
Habermas, in "Filosofia Politica", 15:1, 2001.
Celano, Bruno, Defeasibility e bilanciamento: sulla possibilità di
revisioni stabili, in "Ragion Pratica", 18, 2001 pp. 223-239.
Conforti, Benedetto, Diritto Internazionale, Editoriale Scientifica,
Del Bò, Corrado, Rawls e la teoria della giustizia internazionale, in
Sciacca, Fabrizio, (a cura di), Libertà fondamentali in John Rawls,
De Mucci, Raffaele, fenomenologia e critica del concetto di
Governance, in Maffettone, Sebastiano - Pellegrino, Gianfranco,
Etica delle relazioni internazionali, Marco Editore, Lungro di
Cosenza, 2004, pp. 27-41.
Di Rienzo, Eugenio, Guerra civile e guerra giusta nel XVIII secolo,
in "Filosofia Politica" 16:3 (2002) pp. 375-390.
Dworkin, Ronald, Questioni di principio, Il Saggiatore, Milano,
Elster, Jon, L'uva acerba. L'utilitarismo e la genesi dei voleri, in
Sen, Amartya – Williams, Bernard, (a cura di), Utilitarismo e
oltre, trad. di A. Besussi Il Saggiatore, Milano, 2002. pp.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Facchi, Alessandra, I diritti nell'Europa multiculturale, Laterza,
Roma-Bari, 2001.
Ferrara, Alessandro, Fondare senza fondamentalizzare i diritti
umani: il ruolo di una Seconda Dichiarazione, http://dex1.tsd.
unifi/jg/it/forum/ignatief/index.htm
Francis, Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo, trad.
di D. Ceni, Rizzoli, Milano, 1992.
Galeotti, Anna, Elisabetta, Multiculturalismo: filosofia politica e
conflitto identitario, Liguori, Napoli, 1999.
Galeotti, Anna, Elisabetta, I diritti collettivi, in Vitale, Ermanno,
(a cura di), Diritti umani e tutela delle minoranze, Rosenberg e
Sellier, Torino, 2000.
Galli, Carlo, Spazi politici. L'età moderna e l'età globale, Il
Mulino, Bologna 2001.
Gori, Umberto, voce "Guerra", in Dizionario di Politica, dir.
Da N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Tea, Milano,
Grassi, Davide, La globalizzazione della democrazia :
transizione e consolidamento democratico agli albori
del XXI secolo, in "Rivista italiana di scienza politica",
32:1 (2002), pp. 3-29.
Guastini, Riccardo, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
diritto civile e commerciale, vol. I, t. I, Giuffrè, Milano 1998.
Guolo, Renzo, L'Islam è compatibile con la democrazia ? Laterza,
Roma-Bari, 2004.
Habermas, Jürgen, La costellazione post-nazionale. Mercato globale
nazioni, democrazia, a cura di L. Ceppa, Feltrinelli, Milano, 1999.
Habermas, Jürgen, l'inclusione dell'altro. Studi di teoria politica
a cura di L. Ceppa, Feltrinelli, Milano 1998.
Habermas, Jürgen, Umanità e bestialità - Una guerra al confine
Tra diritto e morale, http://www.caffeeuropa.it/attualità/
33habermas-guerra-ok.html
Huntington, Samuel, La terza ondata. I processi di
democratizzazione alla fine del XX secolo, Il Mulino,
Huntington, Samuel, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine
Mondiale, Garzanti, Milano, 1997.
Ignatieff, Michael, Una ragionevole apologia dei diritti umani, trad.
di. S. D'Alessandro, Feltrinelli, Milano, 2003.
Juergensmeyer, Mark, Rapporto Baghdad. Tutto quello che gli
americani hanno sbagliato, trad. di M. Toti, Reset Editore,
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Kaldor, Mary, Le nuove guerre. La violenza organizzata nell'età
globale, trad. di G. Foglia, Carocci, Roma, 2001.
Kant, Immanuel, Per la pace perpetua, trad. di R. Bordiga, Feltrinelli,
Kymlicka, Will, La cittadinanza multiculturale, trad. Di G. Gasperoni,
il Mulino, Bologna 1999.
Kymlicka, Will, Teoria e pratica del multiculturalismo
D'immigrazione in, Caniglia, Enrico - Spreafico, Andrea,
(a cura di), Multiculturalismo o comunitarismo? pp. 123-157.
Maffettone, Sebastiano, Etica pubblica. La moralità delle istituzioni
Nel terzo millennio, Il Saggiatore, Milano 2001.
Maffettone, Sebastiano, Liberalismo, multiculturalismo, diritti umani,
in, Caniglia, Enrico - Spreafico, Andrea, (a cura di),
Multiculturalismo o comunitarismo? pp. 201-223.
Maffettone, Sebastiano - Pellegrino, Gianfranco, (a cura di),
Etica Delle relazioni internazionali, Marco Editore, Lungro di
Cosenza, 2004.
Maimone, Vincenzo, La società incerta. Liberalismo, individui e
Istituzioni nell'era del pluralismo, Rubbettino, Soveria Mannelli
MacIntyre, Alasdair, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, trad.
di P. Capriolo, Feltrinelli, Milano 1988.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Munkler, Herfried, Politica e guerra. Le nuove sfide della
decomposizione degli stati, del terrore e delle economie di
guerra civile, trad. di M. Merlo, in "Filosofia Politica" 16:3
2002. pp. 435-456.
Negri, Antonio - Hardt, Michael, Impero. Il nuovo ordine della
globalizzazione, trad. di A. Pandolfi, Rizzoli, Milano, 2001.
Nussbaum, Martha C., Giustizia sociale e dignità umana.
da individui a persone trad. di E. Greblo, Il Mulino, Bologna
Nussbaum, Martha C., Diventare persone. Donne e universalità
dei diritti, trad. di W. Mazzefoni, Il Mulino, Bologna, 2001.
Pace, Enzo- Guolo, Renzo, I fondamentalismi Laterza, Roma-
Pacini, Andrea, l'Islam e il dibattito sui diritti dell'uomo, in Pacini,
Andrea (a cura di) l'Islam e il dibattito sui diritti dell'uomo,
Fondazione Agnelli, Torino, 1998, pp. 3-30.
Parsi, Vittorio E., Gli Stati Uniti e l'ordine globale in
"Filosofia politica", 16:1 (2002), pp. 83-113
Palombella, Gianluigi, l'autorità dei diritti. I diritti fondamentali tra
istituzioni e norme, Laterza, Roma-Bari 2002.
Pizzorno, Alessandro, Le radici della politica assoluta, Feltrinelli,
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Rawls, John, Una teoria della giustizia, trad. di U. Santini,
revisione e cura di S. Maffettone, Feltrinelli, Milano 1997.
Rawls, John, Unità sociale e beni principali, in Sen, Amartya,
Williams, Bernard (a cura di), Utilitarismo e oltre, pp. 201-232.
Rawls, John, Liberalismo politico, a cura di S. Veca, trad. di
G. Rigamonti, Edizioni di Comunità, Milano 1994.
Rawls, John, Il diritto dei popoli, a cura di S. Maffettone,
trad. di G. Ferranti e P. Palminiello, Edizioni di Comunità, Milano
Rawls, John, Giustizia come equità. Una riformulazione, trad.
di G. Rigamonti, a cura di S. Veca, Feltrinelli, Milano, 2002.
Regan, Tom, I diritti animali, trad. di R. Rini, Garzanti, Milano,
Sandel, Michael J., Il liberalismo e i limiti della giustizia, trad.
di S. D'Amico, Feltrinelli, Milano 1994.
Sbarberi, Franco, L'utopia della libertà eguale. Il liberalismo sociale
da Rosselli a Bobbio, Bollati Boringhieri, Torino, 1999.
Schmitt, Carl, Le categorie del "politico", a cura di G. Miglio, P.
Schiera, Il Mulino, Bologna, 1972.
Sciacca, Fabrizio, Ingiustizia vs. restrizione, in Sciacca, Fabrizio
( a cura di), Libertà fondamentali in John Rawls, cit., pp. 135-145.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Sciacca, Fabrizio, Ingiustizia politica, Giuffrè, Milano, 2003.
Sen, Amartya, Rights and Agency, in "Philosophy and Public
Affairs" 11:1 (1982), pp. 3-39.
Sen, Amartya, Etica ed economia, trad. di S. Maddaloni,
Laterza, Roma-Bari 1988.
Sen, Amartya, La diseguaglianza. Un riesame critico, Il
trad. di A. Balestrino, G.M. Mazzanti, Il Mulino, Bologna 1994.
Sen, Amartya, la libertà individuale come impegno sociale, trad. di
C. Scarpa, F. Crespi, Laterza, Roma-Bari, 1997
Sen, Amartya, Lo sviluppo è libertà, trad. di G. Rigamonti,
Mondatori, Milano 2000.
Sen, Amartya, La ricchezza della ragione, trad. di A. Balestrino,
B. Ingrao, G. Mozzanti, Il Mulino, Bologna, 2000.
Sen, Amartya, Globalizzazione e libertà, trad. di G.
Bono, Mondatori, Milano 2002.
Sen, Amartya, - Williams, Bernard, (a cura di), Utilitarismo e
Oltre, tr. Di A. Besussi, cura di S. Veca, Il Saggiatore, Milano,
Sen, Amartya, Le radici della democrazia, in "Internazionale", 513:11
(2003), pp. 28-35.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Szyska, Christian, Diritti umani, in Elger, Ralf-Stolleis, Friederike,
Piccolo dizionario dell'Islam. Storia, cultura, società,
Einaudi, Torino 2002, pp. 91-93.
Talbi, Mohammed, La shari'a: ha ancora un futuro tra laicità e
ateismo? in Caniglia, Enrico-Spreafico, Andrea, multiculturalismo
o comunitarismo? Luiss University Press, Roma, 2003, cit., pp.
189-200.
Telò, Mario, L'Europa potenza civile, Laterza, Roma-Bari 2004.
Tincani, Persio, Chi sono le parti? Per una posizione pre-originaria,
In Sciacca, Fabrizio (a cura di), Libertà fondamentali in John
Rawls. cit., pp. 37-73.
Veca, Salvatore, Il dilemma della condivisione politica, in Maffettone
Sebastiano-Veca, Salvatore, Filosofia, politica, società, Donzelli
Roma 1995, cit., pp. 193-206.
Veca, Salvatore, Dell'incertezza. Tre meditazioni filosofiche,
Feltrinelli, Milano 1998.
Veca Salvatore, La bellezza e gli oppressi. Dieci lezioni sull'idea di
Giustizia, Feltrinelli, Milano 2002.
Veca, Salvatore, I diritti umani e la priorità del male, in Ignatieff,
Michael, Una ragionevole apologia dei diritti umani, Feltrinelli,
Milano, 2003. pp. 101-134.
Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
Walzer, Michael, Guerre giuste e ingiuste. Un discorso morale con
esemplificazioni storiche, trad. di F. Armao, presentazione di
S. Maffettone, Liguori, Napoli, 1990.
Walzer, Michael, Geografia della morale, Democrazia, tradizioni e
universalismo, trad. di N. Urbinati, Dedalo, Bari, 1999.
Walzer, Michael, Sulla guerra, trad. di N. Cantatore, Laterza,
Roma-Bari, 2004.
Weber, Max, il metodo delle scienze storico-sociali, trad. di
Pietro Rossi, Mondatori, Milano, 1974.
Weber, Max, Economia e società, Edizioni di Comunità, Milano,
Zolo, Danilo, Fondamentalismo umanitario, in Ignatieff, Michael,
Una ragionevole apologia dei diritti umani, Feltrinelli, Milano,
2003, pp. 135-157.
Source: http://files.studiperlapace.it/spp_zfiles/docs/20060816172634.pdf
Naturetrek Tour Report 22 - 29 April 2016 Hermann's Tortoise Report and images by Ian Nicholson & Martin Beaton T: +44 (0)1962 733051 Tour Report Tour participants: Ian Nicholson & Martin Beaton (leader) with 14 Naturetrek clients This holiday looked at all aspects of wildlife on the attractive island of Menorca, focussing mainly on birds and plants, but also including butterflies and dragonflies, although it was slightly early in the season for the latter two groups. The weather was somewhat mixed, with a couple of chilly mornings, but also some sunny afternoons, and during the course of the week we saw a good variety of wildlife, as well as touching briefly on some of the history of the island.
CSR Report Version 1.0 Editor Carlsberg Group Corporate Affairs Design and production Kontrapunkt Photos Nana Reimers Proofreading Borella projects 4th largest global brewer. DKKbn operating profit. by brand growth. Employees in 2013. Carlsberg brand volume growth in premium markets in Asia.